tag:blogger.com,1999:blog-61630784085892610172024-02-19T07:12:03.669-08:00Linea di costablog di Dino LorimerDino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.comBlogger159125tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-34015281643375436512021-09-04T04:06:00.000-07:002021-09-04T04:06:31.658-07:00Le tre lauree<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIT6I78AW07huKLXY46sJBQMhFHj765aYkqE8hWOlCjxNsjzuBSwWMBRPaQQThw97yVaUbXfLlEoG9eYFUMkuQHaPcpOq-J8O_Asi9bOBE7LDijqTLk4goGf-BLnoEC7r-Zb-eHfWd2g0/s473/cavia.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="315" data-original-width="473" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIT6I78AW07huKLXY46sJBQMhFHj765aYkqE8hWOlCjxNsjzuBSwWMBRPaQQThw97yVaUbXfLlEoG9eYFUMkuQHaPcpOq-J8O_Asi9bOBE7LDijqTLk4goGf-BLnoEC7r-Zb-eHfWd2g0/s320/cavia.jpg" width="320" /></a></div><span class="d2edcug0 hpfvmrgz qv66sw1b c1et5uql b0tq1wua a8c37x1j keod5gw0 nxhoafnm aigsh9s9 d9wwppkn fe6kdd0r mau55g9w c8b282yb hrzyx87i jq4qci2q a3bd9o3v b1v8xokw oo9gr5id" dir="auto">Ha
tre lauree il professore che non vuole vaccinarsi intervistato da
Repubblica: "non voglio fare da cavia per il vaccino!" dichiara. La
dimostrazione che tre lauree possono aiutare a sapere ma non
necessariamente a ragionare. Considerato che ad oggi sono state
somministrate oltre 5 miliardi di dosi di vaccini, sospetto che non sia
azzardato sostenere che si sappia abbastanza dei vari prodotti e non
siano necessarie cavie, nemmeno con tre lauree. <br /><br />Certo non
sappiamo niente degli effetti a lunga scadenza, ma temo che nella storia
dell'uomo ci siano state ben poche cose che sono state messe in
circolazione dopo aver valutato gli effetti a lunga scadenza, siano
queste faramaci miracolosi, mezzi di trasporto, ricette di cucina o
itinerari di viaggio... Direi anzi che probabilmente assumersi qualche
rischio a lunga scadenza faccia parte della storia dell'uomo.<br /><br />Ma
c'è una seconda cosa che mi colpisce della dichiarazione del professore:
considerato che a differenza di tanti prodotti che consumiamo
normalmente, la messa in commercio di medicinali richiede anche un
periodo di sperimentazione sulle persone, il tono sprezzante verso le
"cavie" fa pensare che il docente non abbia troppa considerazione per le
tante persone che aiutano a sperimentare la non dannosità ed efficacia
dei prodotti che ci cureranno. <br /><br />Qualche tempo fa una attivista
ugandese (se non ricordo male), scriveva di suo padre che aveva
partecipato ai programmi che portarono alla messa a punto dei farmaci
che hanno poi consentito di contenere l'epidemia di aids e prolungare di
molti anni la vita dei malati. <br /><br />L'attivista raccontava come suo
padre fosse cosciente del fatto che forse il farmaco non avrebbe
funzionato, o forse solo prolungato di poco la sua vita, ma era lieto di
partecipare ad un programma che avrebbe forse aiutato ad affrontare una
malattia che stava uccidendo in mezzo mondo. <br /><br />Personalmente
credo che al momento in cui mi sono vaccinato la fase della "cavia"
fosse già passata, ma anche se così non fosse, la penso come il padre di
quella attivista. Attivista perché la battaglia in cui era impegnata
non era quella contro le sperimentazioni dei medicinali in Africa, ma
contro i prezzi esorbitanti di quei farmaci, che escludevano dai
potenziali benefici proprio coloro che avevano aiutato a verificarne
l'affidabilità: come suo padre, che terminato il programma non aveva
potuto permettersi la cura. <br /><br />E se guardiamo la distribuzione dei vaccini nel mondo vediamo che le cose non sono purtroppo cambiate granché</span><p></p>Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-55638070191372458812020-04-17T03:54:00.000-07:002020-04-17T04:07:52.637-07:00Raccomandazione Numero 1 - Lavarsi spesso le mani<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7fZOUPfxHuUyEXkQXToxDIeyAMlWYLzg5i7INzslrbsfvyQWUQ0M7ktjpcWxIrD50gm4TCum4bNP_cNZErisKV2QEPKFHzV7wZ6k1iWKatpPzGg4Fs9f-li4vNaprsLGK9OUzUvyf_vk/s1600/HPIM2260.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="480" data-original-width="640" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj7fZOUPfxHuUyEXkQXToxDIeyAMlWYLzg5i7INzslrbsfvyQWUQ0M7ktjpcWxIrD50gm4TCum4bNP_cNZErisKV2QEPKFHzV7wZ6k1iWKatpPzGg4Fs9f-li4vNaprsLGK9OUzUvyf_vk/s320/HPIM2260.JPG" width="320" /></a></div>
La storia era una di quelle raccontate la sera, quando la piccola comunità espatriata si ritrovava in quel ristorante per condividere qualche particolare del lavoro della settimana. <br />
<br />
Mi colpì perché dava il senso immediato di cosa possa significare cercare le soluzioni migliori per tutti: l'organizzazione aveva qualche piccolo fondo per costruire un pozzo e doveva decidere dove fare i test per cercare l'acqua in quella regione abitata da piccole comunità di pastori le cui donne e bambini, come vuole la divisione tradizionale del lavoro in molte parti del mondo, ogni giorno percorrevano i sentieri pietrosi che portavano al wadi per approvigionarsi di acqua melmosa. <br />
<br />
L'idea era di cercare l'acqua vicino ad un villaggio, per ridurre il peso dell'approvigionamento per una delle comunità, per poi cercare fondi per altri pozzi per gli altri villaggi, e fu proposta alla prima comunità che rispose chiedendo invece se non fosse possibile invece cercare in una zona mediana fra i vari insediamenti, in modo da fare in modo che i benefici, anche se minori, fossero immediatamente condivisi da più famiglie.<br />
<br />
Mi colpì perché la prima proposta avrebbe ridotto al villaggio scelto da due / tre ore a pochi minuti il percorso da fare, con 20 litri d'acqua sulle spalle al rientro, mentre la seconda avrebbe invece significato comunque un percorso di un paio di chilometri. Tuttavia la comunità riteneva che quello fosse già un significativo miglioramento che andava condiviso.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvd2e0trBZ7Ttyo0PXbVJoCrHa9ErgUWTbwYKk3mEE89w-6RZOJjiFx2Qk3bhkK_23-U7uvgmq8Y5-Nv9UMX8ZMD2SK0dzbeZls0deE1S165whOSjaK9ZNm1-2Eredz2M71Nxs-ek3Ujg/s1600/pag+20+e.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="610" data-original-width="458" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvd2e0trBZ7Ttyo0PXbVJoCrHa9ErgUWTbwYKk3mEE89w-6RZOJjiFx2Qk3bhkK_23-U7uvgmq8Y5-Nv9UMX8ZMD2SK0dzbeZls0deE1S165whOSjaK9ZNm1-2Eredz2M71Nxs-ek3Ujg/s320/pag+20+e.JPG" width="240" /></a></div>
Del resto ricordo come in quegli anni mi capitò fra le mani uno dei tanti documenti che parlavano delle zone rurali di quel paese e che nel evidenziare le problematiche da affrontare sottolineavano come in gran parte del paese l'acqua potabile era disponibile in media a 4/5 km dalla maggioranza degli insediamenti e come fosse da scegliere fra portarla a uno/ due kilometri o a qualche centinaio di metri.<br />
<br />
L'obbiettivo dell'acqua in casa non era nemmeno contemplato, non perché non desiderabile, ma perché impossibile da realizzare data la povertà del paese.<br />
<br />
<br />
Le statistiche ci dicono che oggi quella realtà è ancora la realtà di un pezzo importante della popolazione mondiale, una realtà dove probabilmente il miglioramento più vistoso è stata la sostituzione delle pesantissime brocche di terracotta, che ancora 15 anni fa ho visto usare per il trasporto dell'acqua, con contenitori di plastica, oramai omnipresenti ad ogni latitudine.<br />
<br />
E le statistiche ci dicono anche che l'appello a lavarsi le mani spesso, ripetuto in queste settimane fino a quasi lo sfinimento in questi giorni di lockdown da COVID-19 , che per noi ci comporta solo qualche secondo in più da passare in bagno dopo essere rientrati dalla spesa, in tanta parte si trasforma in kilometri e kilometri in più da percorrere ogni giorno.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<br />Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-71566817835643029552020-01-04T05:57:00.000-08:002020-01-05T04:50:58.636-08:00With out papers<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEAqME37DLSY2zClEpiBp5VVuDf2sQKzvq1gWa7LNjSz1dhHeNVAwi6orcGnRPDlXXVpYz1zqAMsVX4FQtrmnmmbExDRCT-k3_SlqDtc35yhnh0aErSZ-K9A1p3kVcgwcUBvAQx5TBZhs/s1600/Passaporto.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="849" data-original-width="1280" height="212" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhEAqME37DLSY2zClEpiBp5VVuDf2sQKzvq1gWa7LNjSz1dhHeNVAwi6orcGnRPDlXXVpYz1zqAMsVX4FQtrmnmmbExDRCT-k3_SlqDtc35yhnh0aErSZ-K9A1p3kVcgwcUBvAQx5TBZhs/s320/Passaporto.jpeg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>"You wop!"</b> era il modo con cui mi prendevano in giro i miei cugini Usa in una estate lontana passata dai miei nonni a Philadelphia. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Eravamo piccoli e ben poco sapevamo del significato assai denigratorio assunto dal termine nel corso degli anni, e per altro non ne era ben chiara neppure l'origine. </div>
<div style="text-align: justify;">
Una delle spiegazioni circolate nel corso degli anni era legata all'acronimo without papers (senza documenti) che sarebbe stato spesso associato agli italiani arrivati negli USA. Fino agli inizi del 900 infatti il possesso di un documento uffciale attestante identità e c. non era un requisito necessario per entrare negli USA e a differenza dei meglio strutturati paesi del nord europa, i migranti italiani sopratutto del sud, spesso partivano con poco più della lettera di un famigliare ed i soldi per la traversata, e tenendo ben nascoste eventuali offerte d'impiego perché le norme sull'immigrazione negli USA esigevano che la ricerca di lavoro avvenisse direttamente nel paese e non a distanza.</div>
<div style="text-align: justify;">
Quella dei documenti è una spiegazione probabilmente errata, ma la sua semplice esistenza dice molto sulla migrazione italiana e sulla storia delle migrazioni in generale. Vi era chi migrava con tutti i documenti e chi invece no, perché ciò era consentito.</div>
<div style="text-align: justify;">
Questo fino alla fine dell'800, quando furono introdotte le prime limitazioni a seguito del diffondersi delle teorie razziste nel paese, teorie che vedevano come insidiosa per il tradizionale ceppo anglossassone la crescente presenza di una immigrazione orientale. E prima con il Page act del 1875 e poi con il Chinese Exclusion Act del 1882 veniva proibita l'immigrazione cinese (va detto che il Page act, che metteva limiti fortissimi all'immigrazione femminile, fu giustificato dalla necessità di bloccare l'arrivo di prostitute dal Celeste Impero, ma ebbe più l'effetto di impedire i ricongiungimenti famigliari che non bloccare i trafficanti di prostitute che spesso avevano i mezzi per pagare i costosissimi visti).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Dal 1892 vennero introdotte ulteriori limitazioni all'insieme dell'immigrazione, con una tassa d'ingresso, le visite mediche, ed il divieto d'ingresso per criminali, instabili di mente, e persone che avrebbero potuto passare a carico della collettività, ma ancora niente richiesta di visti e passaporti...</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
Il primo grande blocco all'immigrazione, per chi non avesse avuto i caratteri orientali che già dal 1882 impedivano di varcare la frontiera, arriva nel 1924, quando l'opinione pubblica benpensante, preoccupata per l'alterarsi del tradizionale mix anglo-sassone, spinge per ulteriori modifiche alla legge che introducono un criterio di quote, in base alle quali non solo viene limitato il numero di ingressi in cifra assoluta, ma viene anche diviso in modo proporzionale fra i paesi in relazione alle rispettive percentuali di immigrati fra la popolazione già residente. <br />
<br />
Tuttavia è interessante notare come la legge non risucì a bloccare o ridurre ai numeri desiderati l'immigrazione, si aprirono o ampliarono infatti canali alternativi che passando o dal Canada o dal Messico, permisere l'arrivo di una parte di coloro che non potevano più arrivare attraverso i canali regolari, e la storia dei decenni successivi ci racconta di quanti siano stati gli arrivi irregolari, e se milioni sono stati gli immigrati deportati nel corso degli anni, probabilmente molti di più sono quelli rimasti nel paese, ed i cui figli e nipoti sono oggi a pieno titoli cittadini USA.<br />
<br />
Lo storico Richard White, professore alla Stanford University <a href="https://books.google.it/books?id=h8qZAgAAQBAJ&pg=PT44&lpg=PT44&dq=richard+white+stanford+alien+grandfather&source=bl&ots=AE2TzcbReI&sig=ACfU3U2IyD5oZXsgtRjr4IsrSca_hMjqqg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjU1uXZi-rmAhWDaFAKHcYNAFwQ6AEwC3oECAoQAQ#v=onepage&q=richard%20white%20stanford%20alien%20grandfather&f=false">racconta </a>di come scrivendo un libro sulla storia della sua famiglia di immigrati avesse scoperto che il nonno materno era arrivato nel 1936 dall'Irlanda negli Usa in modo irregolare, in quanto non avendo ottenuto il visto per le restrizioni introdotte dalla legge del 1924, era riuscito ad entrare passando dal Canada, aiutato, dopo un primo tentativo abortito alla frontiera, dal cognato poliziotto a Chicago. E' la storia di un immigrato, ma gli esperti di immigrazione USA sono pronti ad assicurare che molti statunitensi hanno storie simili in famiglia: anche fra quei supporter di Trump che amano raccontare di come i loro antenati fossero arrivati in modo regolare e con tutte le carte in regola.<br />
<br />
La lezione che la storia dell'immigrazione USA ci potrebbe dare, se la volessimo ascoltare, è che la legalità o meno dello status dell'immigrato non ha niente a che vedere con la natura delle persone, ma con scelte amministrative, a volte motivate da sentimenti non sempre nobili, come nel caso delle tesi sulla superiorità razziale del ceppo nord europeo che portò alla riduzione dei flussi dal sud europa negli anni 20 del secolo scorso, o i timori per l'immigrazione cinese nella California post corsa all'oro. <br />
<br />
Ci potrebbe dire che le motivazioni ad emigrare sono tante, e a volte talmente forti da rendere difficili e progressivamente sempre più costosi gli sforzi di contenimento richiesti da leggi e norme, una verità chiara in un paese come gli USA con le sue due lunghe frontiere con Mexico e Canada, e con i tanti porti ed aereoporti di ingresso da cui arrivano i tanti che si trattengono oltre la durata del visto, ma una verità che dovrebbe essere chiara anche per l'Italia: le politiche di blocco degli sbarchi infatti sono dannatamente costose, e non sempre efficaci, perché una cosa è impedire l'ingresso in porto ad una ONG che ha effettuato dei salvataggi regolari, altra pattugliare le molte possibili rotte di scafisti e c. <br />
<br />
Forse alla lunga regolarizzazioni e procedure di accoglienza potrebbero risultare più agevoli e meno onerose (oltre che più umane).<br />
<br />
Questo non significa abdicare, ma cercare di essere pratici e con buon senso, perché se si teme che qualcosa o qualcuno ci possa fare male, è bene sapere dove si trova, e l'illegaltà non è un buon posto dove tenerlo.</div>
<div style="text-align: justify;">
E poi chissà che in 30 anni non scopriremo che l'Italia del 2050 sarà prospera ed in grado di dire ancora qualche cosa al mondo perché in questi anni in cui la popolazione giovanile diminuiva drasticamente, ed interi settori produttivi si trovavano senza lavoratori, un po' di gente è arrivata, alcuni in modo regolare, altri arrangiandosi e trovano il modo di regolarizzarsi, come il nonno di quel professore di Stanford.</div>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-5117816739076687642019-11-23T07:37:00.000-08:002019-11-23T16:22:35.279-08:00L'enigma della ragione<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUjlw0rvCibkHj2AMDlW1PHQ16ng7ClNqJRoSmb9hPtrNM6DGHu55_huzw5u_PJm_o2P0CVB8JIcG8xMlE7IweWlOLVFrLlKI5Y2Oy3-D7EhbL3z51YeKPspBSbTO2bENYP8MYe3UQpKY/s1600/evolution.jpg" imageanchor="1"><img border="0" data-original-height="498" data-original-width="1333" height="120" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUjlw0rvCibkHj2AMDlW1PHQ16ng7ClNqJRoSmb9hPtrNM6DGHu55_huzw5u_PJm_o2P0CVB8JIcG8xMlE7IweWlOLVFrLlKI5Y2Oy3-D7EhbL3z51YeKPspBSbTO2bENYP8MYe3UQpKY/s320/evolution.jpg" width="320" /></a><br />
<div style="text-align: justify;">
E' da tempo che non aggiorno il blog, eppure ne avrei di cose da scrivere, di riflessioni da condividere con amici e conoscenti, di idee da affidare allo sterminato archivio della rete: viviamo in tempi di cattiveria e stupidità, ed è forte la voglia di provare ad argomentare che cattiveria e stupidità possono produrre danni a tutti, compreso i cattivi e gli stupidi. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tuttavia non sono andato avanti per la considerazione che troppo spesso quando parliamo ci troviamo a discutere con chi la pensa come noi, ed i nostri ragionamenti servono solo a confermare le nostre opinioni e non a farle cambiare a chi pensiamo debba modificarle. Nella cultura anglosassone esiste l'espressione "preaching to the converted" (predicare ai convertiti) che spiega perfettamente il problema. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Eppure la ragione dovrebbe servire proprio ad aiutarci a trovare le soluzioni migliori: è quella che ci ha aiutato a diventare quello che siamo, a passare dal piccolo ominide delle savane dell'Africa alla persona in grado di progettare missioni spaziali o più semplicemente macchinari in grado di sostituire l'intervento umano nelle attività più faticose o noiose: dalla lavatrice, all'escavatore a tutto ciò che ci rende la vita così diversa da quella di quell'ominide di tre milioni di anni fa. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma la ragione rimane un enigma, perché se è quella che ci ha consentito a divenire quello che siamo, non ci impedisce di fare cose che alla prova dei fatti si dimostrano stupide, o folli, ed in grado di mettere la vita dell'intero pianeta a rischio.
<br />
<br />
La considerazione è che se il ragionamento servisse a selezionare le soluzioni migliori, in teoria anche le persone più brillanti e capaci di ragionare dovrebbero avere un vantaggio competitivo nel processo evolutivo, e quindi la propensione del genere umano a fare cose stupide dovrebbe diminuire.
Ma sappiamo che non è così, per sintetizzare: anziché estinguersi gli stolti sono sempre numerosi.
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
Se lo chiedono anche Hugo Mercier e Dan Sperber, nel loro libro <a href="https://sites.google.com/site/hugomercier/theargumentativetheoryofreasoning?authuser=0">"The enigma of reason"</a>:
perché se la ragione è così affidabile è in grado di produrre scelte
profondamente prive di senso? La risposta per gli autori è nel fatto che
a differenza di quanto pensiamo, che l'intelligenza e la capacità
raziocinante sia una dote finalizzata al progresso individuale, che ci
consente di affrontare le difficoltà del mondo che ci circonda,
intelligenza e capacità di ragionare sono invece caratteristiche
finalizzate all'agire sociale, alla costruzione del gruppo. </div>
<div style="text-align: justify;">
La spiegazione di questo enigma potrebbe quindi stare proprio nella frase "preaching to the converted", che non sarebbe un uso distorto del ragionamento ma che invece potrebbe essere proprio la sua funzione: costruire la congregazione. <br />
<br />
In sostanza non serve che la proposta/idea/soluzione predicata sia vera o giusta, serve che ci sia un gruppo di convertiti che ci creda, perché a farci diventare quello che siamo oggi non è stata la nostra intelligenza individuale, ma la nostra capacità di operare come gruppo, prima di cacciatori/raccoglitori, impegnati a cacciare animali di grossa taglia e pericolosi, dove la coesione del gruppo è decisiva per il successo, o anche solo la soppravivenza, poi come costruttori di città, in cui per la convivenza, credere nelle stesse cose e avere fiducia del vicino è una condizione assai più importante di polizie ed eserciti.
<br />
<br />
Percui, per semplificare, la cosa predicata non deve essere vera o giusta, ma utile a tenere assieme la nostra tribù e giustificare a questa le nostre azioni.
Si potrebbe dire che in sostanza quando esprimiamo le nostri opinioni cerchiamo più di capire chi la pensa come noi che convincere quelli che hanno una idea diversa. E non ci vuole troppo per capire che è il meccanismo su cui i social network hanno costruito la loro fortuna: i mi piace e il trollaggio ed i meme contro chi non la pensa come noi come forme per dire chi siamo e a quale tribù apparteniamo.
<br />
<br />
Ed è probabilmente anche ciò che ha contribuito alla nascita di culti, credenze, miti, così come alla diffusione di idee che nessun debunker riuscirà a smentire: <br />
<br />
non importa infatti che sia possibile dimostrare che la cosa in cui credo sia vera, importa che possa condividerla con le persone che amo, con cui sto bene o di cui mi fido. <br />
<br />
Ed è un sentimento che ci accomuna tutti, dal più sempliciotto al più raffinato intellettuale, perché tutti abbiamo necessità di sentirci parte di un gruppo, che sia una piccola associazione od un grande partito, una setta od una religione planetaria, o anche solo il ristretto gruppo dei nostri famigliari. <br />
<br />
In definitiva è il contrario della nota affermazione di Margaret Tatcher "there is no such thing as society. There are individual men and women, and there are families ("non esiste una cosa come la società. Ci sono uomini e donne, e le famiglie").
<br />
<br />
Tuttavia se è bello scoprire quanto la nostra intelligenza sia sociale, di quanto questo conti nella costruizione del nostro orizzonte ideale, questo non ci aiuta a trovare gli strumenti giusti per parlare a chi fa parte di qualche altro gruppo, anzi, ci dice che probabilmente il ragionamento, nei modi e forme che ci hanno aiutato a costruirci le nostre opinioni, sarà un'arma spuntata per confrontarsi con chi la pensa diversamente, perché non serve tanto ragionare bene, ma capire qual'è il terreno comune all'interno del quale è possibile costruire il discorso.<br />
<br />
Insomma è sconsolante constatare come sia difficile confrontarsi, perché quello che accade è che pezzi interi di società vivono e prosperano sulla negazione di un terreno comune e di una comune umanità, ed adesso abbiamo anche la rete che contribuisce a diffondere ed amplificare a velocità crescente le divisioni tribali.
</div>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-45499443576126689712019-07-17T09:07:00.001-07:002019-07-17T09:07:26.936-07:00The crossingCi trovavamo in Sudafrica oramai da qualche tempo quando un conoscente ci prestò il CD.<br />
<br />
Divenne uno dei dischi che ascoltavamo più spesso, forse per le
assonanze nel ritornello che assomigliavano così tanto ad una delle
quattro parole zulu che mia figlia più piccola aveva appreso all'asilo, o
forse per quello che capivamo del testo che parlava di passaggi della
vita, traversate, delle tante parole portate via dal vento:<br />
<br />
<i>"All the words in truth we have spoken<br /> That the wind has blown away<br /> It's only you that remains with me<br /> Clear as the light of day"</i><br />
<br />
Negli anni successivi, con un po' di malinconia, questo pezzo ha
continuato ad essere per me quella casa in Barossa st, a Johannesburg,
quel tempo, quel frammento di vita.<br />
<br />
Lo so, forse è più significativo e sicuramente conosciuto "Asimbonanga", ma ieri è Johnny Clegg che si è messo in cammino.<br />
<br />
<i>"O siyeza, o siyeza, siyagudle lomhlaba<br /> (we are coming, we are coming, we are moving across this earth)<br /> Siyawela lapheshaya lulezontaba ezimnyama<br /> (we are crossing over those dark mountains)<br /> Lapha sobheka phansi konke ukhulupheka"</i><br />
<br />
<iframe width="751" height="422" src="https://www.youtube.com/embed/Keu2pINR9_4" frameborder="0" allow="accelerometer; autoplay; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen></iframe>Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-86534088454571271832018-01-19T07:13:00.000-08:002018-01-19T09:43:32.878-08:00Cosa amiamo<a href="http://cdn.mg.co.za/crop/content/images/2014/12/05/mandela-tradition_landscape.jpg/1280x720/" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://cdn.mg.co.za/crop/content/images/2014/12/05/mandela-tradition_landscape.jpg/1280x720/" data-original-height="450" data-original-width="800" height="180" width="320" /></a>S. è oramai un amico. Nonostante che ci vediamo raramente e sempre perché qualche impegno istituzionale lo porta dalle mie parti, considero il compito di accompagnarlo per la città uno dei lavori più piacevoli che mi sia stato assegnato.<br />
<br />
S. racconta che quando gli fu offerta l'opportunità di studiare dovette discutere in casa, perché la madre aveva bisogno di braccia robuste che l'aiutassero a portare qualche cosa da mangiare a casa. Riuscì a studiare perché la nonna si privò di un pezzo della sua magrissima pensione per aiutarlo.<br />
<br />
S. fa il lavoro che fa perché si ricorda delle tante volte che da ragazzo la dispensa era vuota e andò a letto senza cena. Perché si ricorda cosa voglia dire andare a dormire senza sapere se il giorno successivo avrebbe trovato qualche cosa da mangiare a tavola. <br />
<br />
L'ultima volta che gli ho parlato mi ha raccontato come ad un incontro con un <br />
gruppo di giovani del suo paese abbia fatto due domande ai partecipanti. E come gliele avesse fatte perché sono domande che si pone lui.<br />
<br />
Cosa amiamo, e cosa non ci fa dormire la notte. <br />
<br />
Cosa amiamo perché in un mondo dove è sempre più comune discutere di cosa odiamo, e fare lunghe liste di cose e persone che non stimiamo, e magari trasformarle in post sui social network, è sempre più difficile invece capire per cosa vale la pena vivere. <br />
<br />
Capire ad esemprio quali sono gli ideali che ci guidano nella vita, quegli ideali per cui, come ebbe a dire Mandela al tribunale che stava per condannarlo all'ergastolo, si vuole vivere per vederli realizzati, ma per i quali si è pronti anche a morire.<br />
<br />
Cosa non ci fa dormire la notte, perché il timore di non farcela è sempre li, la paura di non essere adeguati alle necessità, o la disperazione per le possibili conseguenze sulla vita delle persone che da noi dipendono. Il senso insomma delle responsabilità che sentiamo per la nostra comunità.<br />
<br />
In tempi di piccoli e grandi odi forse sono queste le domande che dobbiamo tutti porci.<br />
<br />
S. è un uomo saggio. Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-85564310938894395522015-12-13T10:38:00.001-08:002015-12-13T14:13:50.888-08:00Le sedie e l'ingiustiza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHtVS6HQxGmawHsY_F-_GtyxDi7M1h9FGPnOx8UHrnqBUNQSJi_TLZ9UVxUNnfLrfYAuLeeQUWxb3kHuX08n_QXRtEVwuAs_pIHz1rN9jfnJzP3vZPARAJ3FWxD_JM0Zqdyawhnn532vo/s1600/236.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHtVS6HQxGmawHsY_F-_GtyxDi7M1h9FGPnOx8UHrnqBUNQSJi_TLZ9UVxUNnfLrfYAuLeeQUWxb3kHuX08n_QXRtEVwuAs_pIHz1rN9jfnJzP3vZPARAJ3FWxD_JM0Zqdyawhnn532vo/s320/236.JPG" width="320" /></a></div>
L'occasione era un seminario di sindacati africani, il luogo una città dell'Africa orientale. Era la pausa caffé, quando dopo l'interminabile serie di interventi in plenaria, i vari delegati poterono scambiare quattro chiacchere fra di loro. <br />
<br />
Bobby, il facilitatore sudafricano della conferenza era però di un'altra idea, e prese dieci sedie chiamà a raccolta tutti i presenti, chiedendo loro di indicare 10 rappresentanti.<br />
<br />
Una volta messe vicino alle sedie 10 persone, iniziò il gioco: "qual'è secondo voi la percentuale di persone veramente ricche in africa" chiese Bobby, e alla risposta "sono il 10%", prese uno dei 10 presenti e lo mise dietro ad una sedia.<br />
<br />
Poi chiese quante fossero quelle persone con un lavoro che gli consentiva di mangiare ogni giorno e stare relativamente tranquilli. <br />
<br />
"sono il 20%" rispose la sala.<br />
<br />
E Bobby tirò fuori altri due dal gruppo. Lasciando da una parte le 7 persone rimanenti, che per la platea corrispondevano al 70% povero. <br />
<br />
Poi Bobby passò alla seconda serie di domande: "quanta è la ricchezza del 10%, e quanta del 20% e quanta del 70% della popolazione?" e ottenute le risposte piazzò 7 sedie di fronte al primo, 2 davanti ai secondi, e lasciò la sedia rimanente davanti a tutti gli altri.<br />
<br />
"Ed ora sedetevi" ordinò Bob.<br />
<br />
Non ricordo se le percentuali della distribuzione della ricchezza in Africa all'epoca fossero davvero quelle rappresentate dalle sedie distribuite da Bobbby, anche se mi pare non fossero troppo distanti, so che la piccola animazione dette bene l'idea della causa dei tanti conflitti di quel continente e non solo di quello.<br />
<br />
La questione dell'accesso alle risorse è infatti alla base di tante guerre ed è bene averlo sempre presente.<br />
<br />
Ma è un problema che ha un secondo aspetto, altrettanto importante, ed è quello rappresentato dalle 7 sedie con un solo proprietario.<br />
<br />
La domanda da porci infatti è se sia giusto un sistema che consenta ad una sola persona di avere una parte così elevata delle risorse del gruppo.<br />
<br />
Oramai da molti anni si parla di lotta alla povertà ma è un discorso che accanto a qualche successo, vede anche perpetruarsi se non aumentare quella ingiustizia di fondo. Perché non importa quanto le politiche di cooperazione o gli investimenti possono fare per far crescere i paesi più poveri, ma ci sarà sempre qualcuno, anche in quei paesi, che crescerà di più e che diventerà più ricco prendendosi una parte maggiore di risorse, e questo farà si che per i più poveri rimanga sempre solo una sedia su cui sedersi a turni.<br />
<br />
Del resto è abbastanza intuitivo: in un mondo dove per lo sviluppo gioca un ruolo primario la capacità di investire capitali, saranno coloro che hanno capitali da investire a trarre maggiori benefici. <br />
<br />
Ed è ancora più intuitivo che tanto maggiore sarà il capitale di partenza, tanto più elevata la capacità di successo e la potenziale remunerazione, con buona pace di tutte le parole spese a sostenere le pari opportunità per valorizzare il talento.<br />
<br />
Ed allora la domanda cambia: non sarà che anziché lottare contro la povertà assoluta sarebbe più utile impegnarsi in una lotta alla ricchezza eccessiva? <br />
<br />
Insomma è giusto pensare alla crescita di un paese, ma senza redistribuzione nessuna crescita sarà efficace, e sopratutto giusta. Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-53559344512361240842015-05-16T07:22:00.002-07:002015-05-16T07:28:06.898-07:00La falla <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUklEZG3BAXOb_k6RWfEaQei9cCGEcr_KllF92awe0u3TOwzZM4VriHAxOjtg1d_ZIB4KzYPGw557wqcT7j8j1m_5NN2SEZ461RiOIKDsgZIalZgSsF10_V-UqQP_MN3pfHiqaepgWuEE/s1600/IMG_20150215_155411.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHly0jfc38OVd1IIEeAHtRVrXepbZP3SG8QYMTekvxnlliYmHvgHbvoMdg9ciM4wUpKRTk8fg14_hyLlpwKMrPglLqzwTCuf-Ky2SCi8iDmWxB-NyTpgoAIMqwKAMIQ2TSu5Y5kz_YeQk/s1600/IMG_20150221_122702.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><br /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUklEZG3BAXOb_k6RWfEaQei9cCGEcr_KllF92awe0u3TOwzZM4VriHAxOjtg1d_ZIB4KzYPGw557wqcT7j8j1m_5NN2SEZ461RiOIKDsgZIalZgSsF10_V-UqQP_MN3pfHiqaepgWuEE/s1600/IMG_20150215_155411.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUklEZG3BAXOb_k6RWfEaQei9cCGEcr_KllF92awe0u3TOwzZM4VriHAxOjtg1d_ZIB4KzYPGw557wqcT7j8j1m_5NN2SEZ461RiOIKDsgZIalZgSsF10_V-UqQP_MN3pfHiqaepgWuEE/s320/IMG_20150215_155411.jpg" width="240" /></a></div>
"<i>Nella legge c'è una falla</i>" così mi dice il presidente della Federazione dell'Industria e delle Costruzioni del Sindacato etiope, "<i>la legge sul lavoro prevede il reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente, ma lascia alla direzione la possibilità di optare per la monetizzazione, e così tutte le volte che proviamo ad organizzare il sindacato nelle aziende, i nostri attivisti perdono il lavoro ancora prima di riuscire a stabilire il sindacato</i>".<br />
<br />
Lo avevo incontrato perché mi aveva parlato di qualche difficoltà in un cantiere di una azienda italiana che lavora da anni in Etiopia, e volevo capire se era possibile fare qualche cosa chiedendo al sindacato italiano di intervenire con la direzione in Italia .<br />
<br />
La chiaccherata poi si sera spostata sulle loro difficoltà ad organizzare i lavoratori in un comparto che sta letteralmente cambiando la fisionomia del paese, dove ogni poco ci si imbatte in un cantiere: dal palazzo a 10 piani alla autostrada a sei corsie fino alla diga è tutto un costruire, e molte delle aziende che operano nel paese sono straniere.<br />
<br />
"<i>Con gli italiani i problemi sono minori</i>", mi dice il sindacalista, "<i>è nelle aziende cinesi che non riusciamo ad entrare</i>" e parla della legge sul lavoro, che se appunto vieta i licenziamenti senza giusta causa e in teoria prevede il diritto di associazione sindacale, ha però quella falla... <br />
<br />
Ed allora non sorprende se sui cantieri si incontrano capicantiere cinesi che indossano casco ed imbragature di sicurezza, mentre danno ordini a lavoratori locali tutti rigorosamente senza attrezzature di protezione.<br />
<br />
Non soprende perché in quella azienda non c'è il sindacato, come non c'è in tanti altri cantieri, anche locali, dove operai ed operaie lavorano su impalcature in pali di legno, dall'aspetto precario e che arrivano fino agli ultimi piani di palazzoni ben più alti dei 4 piani, che la legge stabilisce come limite massimo per quel tipo di impalcatura. <br />
<br />
Ho dovuto dirgli che da noi in Italia quella falla non c'era, e ce l'abbiamo messa. Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-35178154902975304532015-01-08T08:15:00.000-08:002015-01-10T08:16:34.006-08:007 gennaio 2015La bestemmia più grande è quella di chi uccide nel nome di Dio, qualsiasi sia il nome del Dio.Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-61651701149181997162014-12-14T07:59:00.001-08:002014-12-15T07:37:31.206-08:00la Sinistra "Bio"<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXW8X8PS1XnKbeluGuQxekp8PdRmM_KJsXGNtoiWOjjyifERKakRntcJuhYI1dtIR11nHxjzO3QaKaRxAHqD-RJXvle_GbeNd0bb3veKMTam2qc2qFC4yKlbhEizOEgVohfIkYIbyqQzw/s1600/sinistra.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXW8X8PS1XnKbeluGuQxekp8PdRmM_KJsXGNtoiWOjjyifERKakRntcJuhYI1dtIR11nHxjzO3QaKaRxAHqD-RJXvle_GbeNd0bb3veKMTam2qc2qFC4yKlbhEizOEgVohfIkYIbyqQzw/s320/sinistra.jpg" height="400" width="283" /></a></div>
Di questi tempi l'uso della etichetta "sinistra" ha due versioni, il primo, negativo, con l'aggettivo (tipo radicale e c.). Il secondo invece messo li, dopo il trattino un po' come quelli che piazzano il termine "bio" o "naturale" nel prodotto di scaffale al supermercato.<br />
<br />
Inutile dire che spesso prima di arrivare a quello scaffale quei prodotti hanno perso tanta parte delle cose che li rendevano naturali e bio (un processo cui pare non sfuggire nemmeno l'idea di sinistra).<br />
<br />
<br />
<br />
Per me essere di sinistra significa privilegiare i valori della solidarietà su quelli dell'arricchimento individuale. Dei diritti collettivi sugli interessi individuali (interessi che possono essere assolutamente legittimi ma vengono semplicemente dopo).<br />
<br />
Poi ci sono cose che non sono ne di destra ne di sinistra ma solo questione di civilità (ad esempio che una pubblica amministrazione funzioni, un autobus passi, che le buche vengano tappate, i treni arrivino in orario, le scuole vengano aperte ogni mattina....).<br />
<br />
Ed infine ci sono cose di destra, ad esempio nel contrasto fra capitale e lavoro pensare che abbia ragione sempre il primo, quasi per definizione, o ritenere che le associazioni formate dai più deboli debbano stare al loro posto e non alzare troppo la testa.<br />
<br />
Può capitare di avere ogni tanto qualche pensiero di destra, sopratutto invecchiando. Diventa però una grande mistificazione definirli di sinistra, e magari applaudire chi fornisce definizioni nuove di zecca in grado di far sentire tutti più a loro agio.<br />
<br />
Tanto per cominciare: il concetto che per far andare avanti gli ultimi occorre bloccare i penultimi è un concetto di destra.
Gli ultimi invece avanzano solo se vanno avanti anche i penultimi, perché esiste uno stato di cose che va cambiato e che per far questo occorre estendere i diritti e non redistribuirli.<br />
<br />
E non è sufficiente per autoassolversi dire che quel che si fa serve a difendere i più deboli e che questo è di sinistra, la storia è infatti piena di soggetti che si sono dedicati con passione ed impegno alla tutela dei più deboli senza che questo li facesse essere particolarmente progressisti, quando non complici dello stato di cose, come quelle mogli di grandi industriali che nel pieno della rivoluzione industriali facevano le dame di carità per aiutare le vittime dello sviluppo sregolato di cui erano corresponsabili i loro mariti.<br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="240" src="//www.youtube.com/embed/SzUoAfcyPsk?feature=player_detailpage" width="480"></iframe>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-39781408802458273352014-10-12T08:03:00.003-07:002014-10-12T08:09:20.766-07:00Il CV di ser Filippo<a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/67/Santa_Maria_del_Fiore.jpg/220px-Santa_Maria_del_Fiore.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/6/67/Santa_Maria_del_Fiore.jpg/220px-Santa_Maria_del_Fiore.jpg" /></a><br />
Ieri parlavo di lavoro con mia figlia minore. Fresca di laurea Marta infatti è alle prese con la difficile arte di convincere qualcuno ad assumerla. Un'arte in cui pare che essere sinceri non sia la strategia migliore, come ricordava Marta qualche tempo fa <a href="http://diaryofaseagull.wordpress.com/2014/04/09/if-we-were-allowed-to-be-honest-in-job-applications-an-imaginary-cover-letter/">qui</a>.<br />
<br />
Marta mi segnalava inoltre come oramai molte aziende abbiano software specifici per la gestione delle domande di lavoro, che ricercano nei CV una serie di parole chiave necessarie a selezionare chi far passare alla fase successiva, quella in cui un umano esaminerà tutta la documentazione al fine di decidere quali candidati chiamare per un colloquio. E battere la macchina richiede qualche tentativo in più.<br />
<br />
Poi nel colloquio il candidato dovrà sostenere domande del tipo "<i>quale consideri essere il tuo punto di forze e quale quello debole</i>". La risposta ovviamente prevede l'elencazione di difetti che per il futuro datore di lavoro potrebbero essere solo manna piovuta dal cielo, tipo: "<i>sono maniaco della precisione e troppo attento al dettaglio</i>"...<br />
<br />
<br />
Devo dire che anche senza software c'è da chiedersi cosa siano in grado di capire i reclutatori dalla lettura di CV e lettere motivazionali, ne parlavo un paio di anni fa <a href="http://www.dinolorimer.it/2012/02/curriculum-e-referenze.html">qua</a>.<br />
<br />
Chissà come si comporterebbero oggi sofware e recruiter incaricati di selezionare l'architetto responsabile per la costruzione della cupola del Duomo.<br />
<br />
La domanda di <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Filippo_Brunelleschi">Filippo Brunelleschi</a> sarebbe infatti chiaramente da respingere: con studi da gioielliere e con un attività nel campo della scultura,
apparirebbe palese l'assenza di una solida documentazione attestante
una esperienza pregressa nel settore delle costruzioni di grandi cupole
in muratura... <br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/6ecKKg1Rn1w?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-52471494921301948932014-10-11T04:38:00.003-07:002014-10-11T04:38:32.564-07:00Lavoro e capitale<i>"Labor is prior to and independent of capital. Capital is only the fruit
of labor, and could never have existed if labor had not first existed.
Labor is the superior of capital, and deserves much the higher
consideration."</i><br />
<i><br /> </i><br />
<div class="r">
<i><span style="font-weight: normal;">(Abraham Lincoln - First State of the Union Address December 3, 1861 )</span></i></div>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-74139446163908199522014-08-14T15:30:00.001-07:002014-08-14T15:38:31.237-07:00Avere le prove è inutile <i>“A volte le persone hanno una convinzione centrale che è molto forte. Quando è presentata loro una prova che va contro tale convinzione, la nuova prova non può essere accettata. Creerebbe una sensazione che è estremamente sgradevole, chiamata dissonanza cognitiva. E poiché è così importante proteggere la convinzione centrale, le persone razionalizzeranno, ignoreranno e persino negheranno qualsiasi cosa che non si adatti alla propria convinzione centrale.”</i><br />
<br />
<i>- Franz Fanon, I dannati della terra </i><br />
<br />
Ed oggi hanno tutti il loro account su Facebook e Twitter... Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-850842373645343982014-04-27T07:17:00.000-07:002014-04-27T07:24:36.745-07:0027 Aprile 1994<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://www.southafrica.net/uploads/images/*_Mandela_voting.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.southafrica.net/uploads/images/*_Mandela_voting.jpg" height="128" width="200" /></a></div>
Quei giorni me li ricordo bene, le prime elezioni democratiche erano state convocate per il 27 e 28 aprile e le troupe televisive mondiali avevamo inviato i migliori esperti mondiali di guerre e rivoluzioni, a coprire quello che si prospettava come un bagno di sangue con tutti gli incredienti per la storia da prima pagina.<br />
<br />
<a href="http://www.csmonitor.com/var/ezflow_site/storage/images/media/images/0426-o17-south-africa-freedom/10018836-1-eng-US/0426-O17-south-africa-freedom_full_380.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://www.csmonitor.com/var/ezflow_site/storage/images/media/images/0426-o17-south-africa-freedom/10018836-1-eng-US/0426-O17-south-africa-freedom_full_380.jpg" height="132" width="200" /></a>E le premesse c'erano tutte:<br />
<ul>
<li>il difficile accordo per arrivare ad una costituzione condivisa;</li>
<li>le violenze dei mesi precedenti alle elezioni;</li>
<li>un serie di attentati terroristici nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni, di cui l'ultimo solo pochi minuti dopo che Mandela aveva espresso il suo voto, che avevano provocato 21 morti e 176 feriti.</li>
</ul>
<br />
Ed invece no, all'apertura dei seggi fu immediatamente evidente come tutte le paure della vigilia fossero errate: milioni di sudafricani si misero in coda per votare, la maggior parte di loro per la prima volta.<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTu4zvUJbw2b5IuLP_0FbHGuUvVxwxeW9FV99IYKefiRnuf1budlc3h_C6f3KLFx2x23LSqD8SBwP2Gx6-xeYEDNY9lrOH5my9LGK9Q3LoyFX4I0ddpDKOdKYLQLp28nhOwD_QbeseZss/s1600/Ballot.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTu4zvUJbw2b5IuLP_0FbHGuUvVxwxeW9FV99IYKefiRnuf1budlc3h_C6f3KLFx2x23LSqD8SBwP2Gx6-xeYEDNY9lrOH5my9LGK9Q3LoyFX4I0ddpDKOdKYLQLp28nhOwD_QbeseZss/s1600/Ballot.jpg" height="400" width="188" /></a>Nei giorni seguenti le troupe televisive mondiali iniziarono a ridurre gli staff, era evidente che non servivano tutte quelle competenze in guerre e rivoluzioni.<br />
E si raccontava ridendo di quelle famiglie di bianchi che si erano trovate a dover faticosamente smaltire le tante scorte di scatolette fatte pensando di doversi chiudere in casa nel timore che la vittoria di Mandela fosse preludio a scarsità e vendette.<br />
<br />
Era 20 anni fa. E gli anniversari sono sempre una occasione di riflessione. <br />
<br />
E questo anniversario non si sottrae a questa norma. Non si sottrae perché se è vero che il Sudafrica ha fatto tanta strada in questi anni, se è vero che i profeti di sventure sono stati smentiti; tuttavia una parte delle aspettative e speranze non si sono realizzate, e le diseguaglianze sociali sono ulteriormente cresciute. <br />
<br />
Ma sopratutto paiono essere giunti al pettine i nodi prodotti da un sistema politico caratterizzato dalla cristallizzazione dei partiti nei loro rispettivi ruoli, con il partito di governo, l'ANC ancora in grado di riscuotere tutti i consensi necessari a governare il paese per molti anni, e quello di opposizione destinato a comunque ad essere parzialmente identificato nella minoranza bianca.<br />
<br />
La conseguenza più classica della cristallizzazione del ruolo di governo di un partito è che la battaglia per la guida del partito diventa la battaglia per il governo del paese, è questo è stato chiaro negli ultimi congressi dell'ANC; il secondo aspetto è che le carriere dipendono dalla capacità di governare il partito; ed infine in questo schema spesso la fedeltà conta assai più della competenza, anzi, a volte i troppo competenti potrebbero essere una minaccia alla leadership.<br />
<br />
Fra pochi giorni in Sudafrica si voterà nuovamente, e saranno le prime elezioni politiche in cui voteranno i sudafricani "nati liberi", quelli per cui l'apartheid è solo nei racconti dei genitori. Sicuramente non ci saranno le code di 20 anni fa, e non solo per una migliore capacità organizzativa della commissione elettorale.<br />
<br />
Non ci saranno le code perché all'entusiasmo di quei giorni sono subentrati i dubbi, tanti dubbi e tante critiche, e accanto all'arcivescovo Tutu, che ha <a href="http://www.theguardian.com/world/2014/apr/25/desmond-tutu-mandela-wont-vote-anc">pubblicamente dichiarato</a> che non voterà per il partito di governo, pur riconoscendo i grandi progressi fatti dal paese sotto la guida di quel partito. vi è l'appello al <a href="http://mg.co.za/article/2014-04-15-vote-no-say-anc-veterans-at-campaign-launch"><i>Vote NO</i></a> di alcuni leader storici dell'African National Congress, un appello che ha prodotto non poche discussioni e polemiche.<br />
<br />
Non vi è dubbio infatti che il rinunciare all'esercizio del voto in un paese che tanto ha lottato per renderlo possibile sia una dichiarazione di impotenza assai più drammatica dell'evento che qualche anno fa aveva visto alcuni ex leader del partito fondare il COPE, un nuovo partito che puntava, senza troppo successo, ad intercettare il voto della nascente borghesia nera.<br />
<br />
Una cosa è infatti ritenere che altrove vi siano spazi per poter operare, altra invece confessare l'incapacità al contempo di abbandonare il campo in cui si è lottato per una vita e di dare un voto per una dirigenza e probabilmente una politica, che si ritiene inadeguata alle necessità del paese.<br />
<br />
Difficile fare previsioni sui risultati delle prossime elezioni e sui suoi effetti, anche se non pare in discussione la vittoria del partito di governo è evidente che per un partito che parte dalla maggioranza assoluta dei voti, ogni voto perso sarà motivo di discussione.<br />
<br />
Quello che è invece chiaro che anche in Sudafrica, come altrove, conta la regola che una grande storia non è sufficente a garantire un futuro privo di contraddizioni, perché per usare la metafora usata da Nelson Mandela nella sua <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Lungo_cammino_verso_la_libert%C3%A0">autobiografia</a>:<br />
<i><br /></i><br />
<i>"Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare."</i> <br />
<br />Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-46124550428989915202014-03-23T16:03:00.000-07:002014-03-23T16:03:24.171-07:00Dal Cairo a Sebastopoli<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f5/Organisation_of_African_unity.svg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f5/Organisation_of_African_unity.svg" height="200" width="200" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<b>"<i>Considerato che i confini sono un grave e permanente motivo di dissenso;
Considerato che i confini esistenti al momento dell'indipendenza costituiscono una realtà tangibile;
----
Solennemente dichiariano che tutti gli stati membri si impegnano a rispettare i confini esistenti al momento della loro indipendenza</i>" </b></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Era il luglio del 1964, ed i capi di stato africani si riunirono al Cairo per la prima riunione dopo la nascita, nell'anno precedente, della Organizzazione per l'unità africana. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Erano gli anni della conquista dell'indipendenza dal colonialismo per gran parte dell'<b>A</b>frica e non vi erano dubbi che il percorso fosse ben tracciato e destinato al successo per una organizzazione che voleva rappresentare le capacità del continente di definire il proprio destino. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Come sappiamo la storia andò diversamente, e per molti anni di quella organizzazione ciò che ha colpito è stata la sua inefficacia ed incapacità di intervento in tutte le crisi che di li in poi hanno interessato il continente.
E tuttavia fra i documenti di quell'incontro troviamo la dichiarazione riportata in apertura, dichiarazione che negli anni ha costituito forse la più importante base giuridica per chi voleva la pace nel continente. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2e/Map_of_Africa_from_Encyclopaedia_Britannica_1890.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2e/Map_of_Africa_from_Encyclopaedia_Britannica_1890.jpg" height="200" width="149" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Eppure di motivi per ridisegnare i confini ce ne sarebbero stati moltissimi in un continente dove <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/Conferenza_di_Berlino_%281884%29">le linee erano state tracciate quardando</a> assai più alla mappa dell'Europa che non a quella dell'Africa. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Confini che dividevano con un tratto di penna gruppi linguistici, etnie, zone di influenza e culture preesistenti. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Quella dichiarazione rimane forse uno degli atti più importanti della generazione di Nyerere, Senghor, Nkrumah e la cui valenza andrebbe misurata non solo per quanto ha influito nella storia del continente, ma in termini assoluti. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Certo l'Africa ha conosciuto guerre e genocidi terribili, e tuttavia è lecito pensare che la messa in discussione anche dei confini ne avrebbe ulteriormente aumentata la carica distruttiva. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma proviamo a pensare quali sarebbero stati gli effetti di una dichiarazione "del Cairo" in salsa europea in questi ultimi 20 anni... </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Basta andare indietro di poche ore per trovare come a sostegno della decisione di tenere il referendum in Crimea la Russia abbia portato ad esempio la vicenda del Kossovo e gli aspetti di carattere linguistico ed etnico che stanno dietro al suo epilogo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E poi ci sono le piccole patrie, i popoli rimasti a cavallo delle frontiere, i nipoti di migrazioni antiche e deportazioni recenti.
Non so se sia solo una uscita flokloristica quella di un leader della minoranza albanese di una regione del sud della Serbia, che all'annuncio del referendum in Crimea ha rivendicato un referendum per la autoderminazione di quella piccola regione. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In conclusione mi vengono in mente le considerazioni amare di una sindacalista kosovara incontrata un anno fa, che raccontandomi delle riunioni che fanno con i sindacati balcanici, ci ha tenuto a dirmi subito come tutti, serbi, croati, montenegrini, macedoni, bosniaki, kosovari e c. ci tengono a rimarcare la tragedia della guerra che li ha visti contrapposti. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La loro constatazione è che se non si fossero sparati addosso per un decennio magari oggi sarebbero tutti parte della unione euoropea, e con un peso sicuramente maggiore di quello dei singoli disastrati paesi. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Storia maestra ma con pessimi scolari.</div>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-37652797002670261362014-02-01T04:43:00.002-08:002014-02-01T12:43:59.588-08:00The big fool said to push on<iframe width="560" height="300" src="//www.youtube.com/embed/uXnJVkEX8O4?feature=player_detailpage" frameborder="0" allowfullscreen></iframe>
<br />
<br />
Pochi giorni fa è morto Pete Seeger. Era un musicista che non aveva mai avuto timore di dire quel che pensava e di cantare per chi non aveva voce.<br />
<br />
Nella canzone "Waist deep in the big muddy" attraverso un apologo ambientato lungo le sponde di un affluente del Mississippi parla della futilità di proseguire in una impresa, l'attraversamento del fiume, perché occorre seguire gli ordini del capitano che è convinto che quel fiume sia guadabile basandosi sul fatto che lo era un miglio a monte.<br />
<br />
L'apologo voleva essere ovviamente una metafora della guerra in Vietnam ed il "Grande stupido" era per Seeger il Presidente dell'epoca che dava ordine di proseguire in una avventura militare destinata all'insuccesso.<br />
<br />
La storia ha ovviamente più letture possibili, la più immediata è quella della critica alla guerra ed ai governi che la impongono, ma volendo vi sono anche una ulteriori letture possibili e che riguardano tutti.
<br />
<br />
Il tema è quello della rilevazione dell'errore. Nella storiella Seeger racconta che il comandante non sapeva che poco a monte un affluente aveva aumentato la portata del fiume, rendendolo non più guadabile.
<br />
<br />
Il fatto che il meccanismo della catena di comando militare prevede la insindacabilità dei comandi dei superiori nella storia rende più difficile l'acquisizione dell'errore e la scelta alternativa. Ovviamente quel meccanismo è indispensabile al funzionamento del sistema militare. Ma come si vede ha le sue controindicazioni. Controindicazioni che sono trasferibili a tutti quei sistemi che prevedono una forte accentuazione del tema della leadership. <br />
<br />
Quante rivoluzioni non hanno mantenuto le promesse perché nessuno aveva il coraggio e le condizioni per dire al capo che il percorso era errato?<br />
<br />
Provando a spostare la questione a noi l'apologo ci offre anche un ulteriore insegnamento: le nostre convinzioni per quanto care ci possono essere, non possono mai sottrarsi ad una verifica continua.
<br />
<br />
E se a dirci che a monte un affluente ha aumentato la portata del fiume, non possiamo dire che non ci interessa perché chi ce lo dice non ci piace, o perché il nostro programma era di guadare il fiume proprio li e "The big fool says to push on".
<br />
<br />
Ed infine: mai fidarsi troppo dei "big fools" che ci stanno attorno, quelli che non ascoltano, quelli che si fidano solo di se stessi, quelli che dicono che tutto è facile perché tutto sembra così simile alle nostre convinzioni.Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-52814849804393243412014-01-05T14:46:00.000-08:002014-01-05T14:46:13.228-08:00Diseguaglianze e merito: i numeriNe ho già parlato <a href="http://www.dinolorimer.it/2014/01/contro-al-merito.html">qua</a>. A ricordarci come battersi per premiare il merito sia cosa diversa dal battersi per l'eguaglianza scrive Maurizio Franzina in "<a href="http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858107546">Diseguaglianze inaccettabili</a>": <br />
<br />
<blockquote class="tr_bq">
"Oggi il problema principale riguarda il conseguimento della laurea da parte di chi proviene da famiglie di non laureati. Il fenomeno non è di origine recente. Confrontando i nati nella seconda metà degli anni ’10 con i nati nella seconda metà degli anni ’70, risulta che la quota di laureati è cresciuta ma non in modo impressionante: dal 2% al 10,1%. La significativa mobilità intergenerazionale nei titoli di studio che si è avuta nel nostro paese si è, sostanzialmente, fermata alle soglie dell’università.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq">
Il fatto che solo una piccola percentuale dei figli di non laureati si laurei ha molteplici conseguenze negative: frena la mobilità verso l’alto, impedisce che si riduca la disuguaglianza nei titoli di studio e tiene basso il numero dei nostri laureati. A quest’ultimo proposito, si può ricordare che la percentuale di italiani di età compresa tra i 25 e i 64 anni in possesso di una laurea è nettamente più bassa di quella media nei paesi dell’Ocse (15% contro 31%) e questo vale anche se si considerano soltanto i giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni (21% contro 38%). Negli anni più recenti si sono manifestati fenomeni preoccupanti: gli immatricolati nelle università italiane sono scesi da più di 338.000 nel 2003-4 a circa 280.000 nel 2011-12 (Cun 2013). Il calo (più di 58.000 studenti, pari al 17%) è notevole, anche tenendo conto delle sfavorevoli tendenze demografiche, e non è facile prevedere un’inversione di tendenza a breve termine."</blockquote>
<br />
E ancora<br />
<br />
<blockquote class="tr_bq">
"Questi indizi giustificano l’ipotesi che le condizioni economiche della famiglia influenzino la carriera formativa dei figli. Si tratta di un’ipotesi che è del tutto compatibile con l’influenza del titolo di studio dei genitori su quello dei figli, ampiamente discussa nel paragrafo precedente, se il reddito dei genitori è positivamente correlato al loro titolo di studio. Infatti, attraverso questa correlazione anche il titolo di studio dei figli sarebbe correlato al reddito della famiglia di origine. </blockquote>
<br />
<blockquote class="tr_bq">
I dati ci dicono che il 48,3% dei nati negli anni ’40 che si è iscritto all’università aveva origini nella borghesia (e il 40,2% raggiungeva effettivamente la laurea); la corrispondente percentuale tra i figli degli operai era soltanto del 4,1% (e solo il 3,5% riusciva a laurearsi). La maggiore partecipazione all’istruzione terziaria ha interessato, negli anni successivi, tutte le classi sociali; tuttavia, questa tendenza all’aumento non ha modificato in modo sostanziale le disuguaglianze: nella coorte di coloro che sono nati negli anni ’70, si è iscritto all’università il 55,8% dei figli della borghesia contro il 14,1% dei figli degli operai (Istat-Cnel 2013).</blockquote>
<blockquote class="tr_bq">
Questi indizi giustificano l’ipotesi che le condizioni economiche della famiglia influenzino la carriera formativa dei figli. Si tratta di un’ipotesi che è del tutto compatibile con l’influenza del titolo di studio dei genitori su quello dei figli, ampiamente discussa nel paragrafo precedente, se il reddito dei genitori è positivamente correlato al loro titolo di studio. Infatti, attraverso questa correlazione anche il titolo di studio dei figli sarebbe correlato al reddito della famiglia di origine."</blockquote>
<br />Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-76999877116842168342014-01-02T02:08:00.001-08:002014-03-25T08:34:13.889-07:00Contro al merito<i>"Ah il merito: la colpa dei guasti dell'Italia è la scarsa attenzione ai suoi figli più talentuosi, alla prevalenza di conoscenze e lobby sul merito."</i><br />
<br />
<i>"E poi far prevalere il merito è un passaggio necessario per una società socialmente più giusta."</i><br />
<br />
Sono frasi che ultimamente riecheggiano spesso, e che fanno immediatamente pensare alle schiere di mediocri piazzati ai posti di comando da una classe dirigente inamovibile.<br />
<br />
Ma è davvero solo una questione di merito, e poi, cosa è "il merito"?<br />
<br />
Insomma esiste un criterio assoluto per definire e selezionare "i più meritevoli", o invece il merito senza aggettivi è solo un concetto astratto buono solo per comiziacci e discorsi retorici?<br />
<br />
L'impressione è che chi parla di merito lo faccia riferendosi ai curriculum scolastici, e sicuramente a prima vista pare un ottimo criterio selettivo. Ovviamente il sottotesto di chi fa questo ragionamento è che la formazione del suo oppositore è inadeguata mentre la sua o quella dei suoi figli sarebbe ingiustamente sottovalutata.<br />
<br />
Il problema è quindi capire se i curriculum scolastici contengono tutto quanto viene richiesto. Perché la scuola è qualche cosa di più di un organismo di preparazione e certificazione di competenze lavorative, e perché un buon curriculum scolastico non è necessariamente sufficiente.<br />
<br />
Ma ammesso che un buon curriculum scolastico basti ad esprimere il merito, premiarlo sarebbe sufficiente a garantire una società socialmente più giusta?<br />
<br />
L'impressione a leggere le statistiche è che no, ancora oggi, nonostante scolarizzazione di massa e c. la mobilità sociale sia limitata, e lo sia perché nelle università che contano ci vanno i figli di chi ci era andato venti anni prima, perché ad una università sempre più frequentata da ceti diversi, si sono affiancati costosi programmi formativi ad hoc che nuovamente riproducono la selezione per censo di una volta.<br />
<br />
Certo, ci sono dozzine di programmi per consentire ai meno abbienti di talento di andare avanti, ma davvero il talento è sempre così facile da individuare in tempo da impedire che ambiente e condizioni lo distruggano?<br />
<br />
Insomma quante intelligenze sono perse per il solo fatto di essere nate nel posto e nella famiglia sbagliata?<br />
<br />
L'impressione insomma è che l'idea della giustizia sociale che passa per il merito sia sbagliata. Premiare i più meritevoli serve sicuramente ad una società più efficiente ma non sostituisce la <a href="http://www.dinolorimer.it/2010_12_01_archive.html">battaglia per l'eguaglianza</a>.<br />
<br />
Ma a chiedersi se davvero una società che riconosce il merito sia anche più giusta non ci sono solo nostalgici delle battaglie per l'eguaglianza: è interessante che a porsela sia uno dei custodi del capitalismo americano Ben Bernanke.<br />
<br />
In un <a href="http://federalreserve.gov/newsevents/speech/bernanke20130602a.htm">discorso</a> davanti ad una platea composta dall'elite di Princetown il Governatore della Federal Reserve da anche la sua risposta: non, non è giusta, nel senso che non vi è niente di giusto nell'essere nati nella famiglia con i mezzi adeguati a farti studiare, ma neppure nell'avere intelligenza e volontà superiore ai tuoi simili che ti hanno fatto superare le difficoltà.<br />
<br />
E se non è giusto, conclude Bernanke è necessario che chi più ha avuto dalla famiglia o semplicemente dalla natura, più deve restituire alla società. Non male dopo anni di appelli agli sgravi fiscali ai ceti più ricchi, perché così si creava benessere... Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-3225608316803658082013-12-11T11:17:00.002-08:002013-12-12T02:32:40.882-08:00La fanfara ha suonato l'inno e voi non cantate?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://i1.ytimg.com/vi/JpGm3QPNtP4/maxresdefault.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="http://i1.ytimg.com/vi/JpGm3QPNtP4/maxresdefault.jpg" width="320" /></a></div>
Quel 10 maggio rimasi a casa, ero arrivato da pochi mesi e l'invito per l'organizzazione per cui lavoravo era stato inviato solo al mio collega che oramai da 3 anni abitava in Sudafrica. <br />
<br />
Avrei seguito la storia nel suo divenire come i rimanenti 42 milioni di abitanti del paese, e come le centinaia di milioni di persone che nel resto del mondo avrebbero in qualche momento della giornata saputo che l'insediamento del primo presidente nero del Sudafrica era avvenuto in un clima festoso ed privo delle violenze che i commentatori della vigilia davano per ineluttabili.<br />
<br />
Stavamo in un quartiere a poche centinaia di metri di distanza da quello stadio di Ellis Park che solo un anno dopo sarebbe divenuto famoso per la finale della coppa del mondo di rugby vinta dal Sudafrica.<br />
<br />
In quello stadio la federazione di calcio sudafricana aveva deciso di organizzare un'amichevole fra la nazionale del Sudafrica e quella dello Zambia, e vista la vicinanza decisi di provare ad andare a vedere la partita, nella non troppo segreta speranza che magari Mandela passasse per un saluto alla folla.<br />
<br />
Con mia figlia più grande e la figlia di una vicina di casa, entrammo in uno stadio strapieno di persone, la stragrande maggioranza nere, che cantavano canzoni e lanciavano slogan con un ritmo incessante. <br />
<br />
La partite iniziò e per un po' era una normale partita di calcio: poi un elicottero militare sorvolò lo stadio, facendo intuire che con tutta probabilità stava arrivando Mandela.<br />
<br />
Poi una macchina nera entrò in campo accolta da un boato della folla...la partita fu sospesa per qualche minuto, poi lo speaker annunciò che il Presidente avrebbe parlato nell'intervallo fra il primo ed il secondo tempo.<br />
<br />
E l'intervallo arrivò, e Mandela parlò per qualche minuto e la banda suonò l'inno.<br />
<br />
Ed era il nuovo inno, quello ottenuto fondendo l'inno del movimento di liberazione Nkosi sikelele Afrika con Die Stem, l'inno della vecchia repubblica morta con quelle elezione. E l'intero stadio cantò a squarciagola solo la prima parte dell'inno.<br />
<br />
Finita l'esecuzione la sorpresa: Mandela si fa riportare il microfono e alla ammonisce la folla: "<b>la fanfara ha suonato tutto l'inno e che va cantato tutto. Ed è bene che impariate le parole, e l'afrikaans (la lingua parlata dai boeri e che 18 anni prima era stata fra le cause scatenanti della rivolta di Soweto)!</b>". <br />
<br />
Era il primo giorno da presidente. Il primo giorno dei tanti in cui Mandela non si lasciò sfuggire nessuna occasione nel perseguire il suo obbiettivo di pacificare il paese.<br />
<br />
E le parole le impararono <a href="http://www.youtube.com/watch?v=Ncwee9IAu8I">tutti </a>. <br />
<br />
Che la terra ti sia lieve MadibaDino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-23477946947092795962013-10-03T09:45:00.002-07:002013-10-03T09:45:31.761-07:00I nomi degli altri - RobelTutte le volte che la cronaca dell'emigrazione parla di<a href="http://www.corriere.it/cronache/13_ottobre_03/lampedusa-naufraga-barcone-migranti-e0102320-2bf7-11e3-b674-51fbe6c64466.shtml"> vittime</a> e lo fa solo con i numeri come <a href="http://www.corriere.it/cronache/13_ottobre_03/lampedusa-naufraga-barcone-migranti-e0102320-2bf7-11e3-b674-51fbe6c64466.shtml">oggi</a>, o <a href="http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/09/30/news/sbarco_tragico_a_ragusa_annegano_tredici_immigrati-67571864/">l'altro</a> ieri <a href="http://www.theguardian.com/world/2013/sep/28/asylum-boat-sinks-off-java-indonesia"> o qualche giorno fa</a> vorrei saper parlare di loro, dei loro volti, dei loro nomi, della loro vite.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/campania/media/foto/2013/09/30/ragusa33--620x420.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="216" src="http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/campania/media/foto/2013/09/30/ragusa33--620x420.jpg" width="320" /></a></div>
Non so se ho mai incontrato Robel, è assai possibile che fosse uno dei tanti ragazzi che affollavano la domenica il corso di Asmara.<br />
<br />
Forse ho anche scambiato due parole con lui in qualche festa a casa di amici. <br />
<br />
O magari al tempo era a Sawa, la scuola costruita nel mezzo del nulla dove le nuove generazioni eritree venivano mandate a fare l'ultimo anno di superiori ed ad apprendere i rudimenti dell'addestramento militare. <br />
<br />
O forse l'ho incrociato a qualche posto di blocco sulla via di Massawa.<br />
<br />
Non lo so.<br />
<br />
So che sono passati 5 anni da quando ho lasciato l'Eritrea, e so che due giorni fa sulla pagina facebook di un amico di Asmara appare un link ad una foto su un profilo facebook ed un messaggio di condoglianze alla famiglia.<br />
<br />
Il profilo di Robel è quello di un giovane come tanti altri, con le immagini più o meno classiche e più meno sfuocate di famiglia ed amici; e poi qualche altra foto, ed un commento "Khartoum", uno delle città di transito della migrazione africana. <br />
<br />
Oggi il mio amico sulla sua pagina aggiunge <b>"Robel è morto un paio di giorni fa in mare"</b>.<br />
<br />
<br />
<br />Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-4058720819746377002013-09-19T07:17:00.001-07:002013-09-19T07:17:15.092-07:00Amina e la pennicillina La giornata era di festa, la delegazione era arrivata nel villaggio dove avevamo appena terminato di costruire quel mulino che avrebbe risparmiato 35 km per andare a macinare le granaglie.<br />
<br />
Si perché i cereali costano meno e durano assai più a lungo se non vengono macinati, ed è così che sia chi li coltiva che chi invece deve comprarli o sperare in qualche distribuzione di cibo, ha in casa il suo sacco di granaglie che va a macinare solo quando se ne presenta la necessità.<br />
<br />
Ma non tutti i villaggi hanno un mulino, ed è per questo che tutte le volte che ci capitava di chiedere agli abitanti di questo o quel posto cosa fosse nelle loro priorità la risposta era, dopo l'acqua, un mulino.<br />
<br />
In quella parte del paese, fino a che non eravamo risusciti a trovare i fondi per costruirne uno, ne erano sprovvisti, e la strada da fare era tanta con quei sacchi sul cammello, per chi se lo poteva permettere, ma anche in spalla, potendo solo sperare in qualche mezzo del governo che passasse da quella strada che definirla tale era un eufemismo, considerato l'ammasso di lava e pietre che rendevano il percorrerle un azzardo se non provvisti di almeno un paio di ruote di scorta sul tetto.<br />
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Ma quel giorno era appunto di festa e dopo la cerimonia e dopo il pranzo le 4x4 erano ben allineate al centro del villaggio in attesa di ripartire dopo il rientro di una parte della delegazione che si era spinta un'oretta di fuori strada più in la, a visitare un sito paleontologico di rara bellezza, dove pareva che nulla fosse cambiato nei 200,000 anni precedenti...<br />
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Ad un tratto l'infermiere del villaggio, un giovane mandato la a fare il servizio militare e che aveva come uniche dotazioni le gambe, una radio e qualche medicinale, chiese al capo delegazione di seguirlo e lo portò in una capanna dove una madre stringeva fra le braccia Amina, la figlioletta di 2 anni, in preda ai deliri di una febbre altissima e per la quale l'infermiere non aveva medicine adeguate. <br />
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Il capo delegazione chiese subito dove fosse il punto salute più vicino ed immediatamente con l'autista caricarono mamma e bambina sulla 4x4 e tre ore dopo, percorsi i 35 km che separavano l'insediamento dal villaggio più grande, la bambina venne presa in cura da un dottore che le somministrò i farmaci necessari a far scendere la febbre e affrontare l'infezione.<br />
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Il capo delegazione, al tempo un amministratore locale, tornato in Italia ed inizia cercò i fondi per far si che in quel villaggio e quell'infermiere, e chi sarebbe venuto dopo di lui, non si trovassero privi di medicinali che in Italia sono quasi da banco e che in quei luoghi remoti di quel paese erano un lusso.<br />
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Un giorno raccontai questa storia ad A. un amico che lavorava per una associazione che aveva messo in piedi alcune iniziativa assai meritevole per bambini affetti da patologie, e che ogni tanto organizzava un viaggio di qualche bambino in Italia. <br />
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Fu allora che A. mi parlò dei suoi dubbi, e mi disse della notte in cui dovette andare a prendere un bimbo che rientrava dall'Italia dopo essere stato sottoposto ad un intervento cardiaco che gli aveva salvato la vita.<br />
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Quella notte la hostess che accompagnava il bimbo (il parente più stretto uno volta arrivato in Italia si era dileguato) gli consegnò una busta piena di medicinali e le istruzioni, e questi medicinali andavano presi ogni giorno, ed una volta ogni 15 giorni il bimbo doveva fare delle analisi che verificassero la fluidità del sangue, ed in base alle analisi proseguire con i medicinali o dimezzare la dose.<br />
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Ed il bambino abitava in un villagetto sperduto a 450km dal luogo più vicino dove fare quelle analisi.<br />
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Insomma, A. aveva l'ipressione che l'intervento che sicuramente, e giustamente, aveva riempito di orgoglio l'associazione, l'ospedale che aveva operato il bambino, e gli amministratori che avevano autorizzato l'operazione, aveva tuttavia prolungato solo di qualche mese la vita di quel bimbo, e non aveva cambiato nulla in una realtà dove probabilmente sono dozzine le Amine morte per mancanza di pennicilina o sulfamidici.<br />
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E' un dibattito annoso,<a href="http://www.saluteinternazionale.info/2010/05/ospedale-cardiochirurgico-di-emergency-in-sudan/"> qua un articolo</a> di qualche tempo fa che metteva in dicussione un progetto di Emergency, che almeno rispetto alla storia raccontata da A. ha il pregio di operare, rispetto all'Italia, più vicino ai luoghi dove risiedono i potenziali beneficiari.<br />
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PS La storia è di qualche anno fa, e magari da allora le cose sono cambiate. Manco da qualche anno da quei luoghi e a volte mi piace immaginare che oggi Amina e le sue amiche siano a scuola, e che anche nel luogo più remoto non sono più mancati i farmaci salvavita. <br />
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<br />Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-78816136460562475462013-09-05T08:18:00.002-07:002013-09-06T01:12:13.581-07:00Wich side are you on - IIAlex de Waal sul <a href="http://www.nytimes.com/2013/09/05/opinion/what-sir-william-would-do-in-syria.html">New York Times</a>: "<i>La storia degli sforzi di proteggere civili attraverso l'azione militare ha le sue luci e le sue ombre che rivelano una verità di base: il loro successo dipende dal fatto che rafforzano un piano politico. Dalla creazione di una zona franca per i Curdi nell'Iraq del nord nel 1991 alla campagna che ha portato alla cacciata di Muammar el-Qaddafi in Libya nel 2011, gli interventi efficaci aiutano la diplomazia; non la rimpiazzano</i>". Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-71936459330669669122013-09-04T08:34:00.003-07:002013-09-04T08:45:14.019-07:00Wich side are you onDa che parte stai diceva una bella canzone sindacale di molti anni fa. Ed era facile rispondere, perché da una parte vi erano i lavoratori e dall'altra il padrone che faceva di tutto per evitare che i suoi dipendenti si organizzassero. </P>
Grazie alle appassionate <a href="http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=5iAIM02kv0g">interpretazioni di Pete Seeger</a>, quella domanda secca ha poi superato il confine delle lotte sindacali degli anni 30 del secolo scorso, per essere riproposta in decine di manifestazioni, da quelle per i diritti civili a quelle contro la guerra nel Vietnam. Ed ogni volta la risposta era abbastanza facile per chi la sentiva nel mezzo di un corteo, a urlata da un palco. </P>
Ma è davvero sempre così semplice capire da che parte stare? </P>
E` una domanda che mi pongo oramai da qualche tempo, da quando i conflitti hanno smesso di essere definibili in modo semplice, piazzando con rapidità i buoni da una parte ed i cattivi dall'altra. </P>
In questi giorni il tema dell'intervento USA in Siria domina la cronaca, e giustamente sono tanti gli appelli alla pace. </P>
E tuttavia non posso dimenticare che solo poche settimane fa gli appelli erano per fare tutto il possibile per fermare una guerra civile che aveva già fatto decine di migliaia di morti. </P>
E non posso non notare come tutti gli strumenti che gli organismi internazionale hanno al momento disponibili per una soluzione pacifica del conflitto si siano dimostrati pateticamente inadeguati. </P>
Ed allora che fare? Quali sono i <a href="http://www.repubblica.it/esteri/2013/09/04/news/siria_sofri_confini_linea_rossa-65850028/?ref=HRER2-1">confini della linea rossa?</a> Il timore è che qualsiasi scelta sarà quella sbagliata perché incapace di fermare la carneficina. </P>
Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-70524870500887742322013-08-06T01:52:00.001-07:002013-08-06T01:54:57.556-07:00La realtà non è un reality showLa prima volta che ho letto di <a href="http://www.info-cooperazione.it/2013/07/se-saranno-i-vip-a-raccontare-la-cooperazione/">"the Mission"</a> ho pensato che fosse una classica bufala estiva, una di quelle notizie un po' strampalate di cui abbonda l'estate.<p>
Ma sembra non sia così.<p>
Da quello che leggo l'obbiettivo delle organizzazioni che avrebbero collaborato con la RAI è quello di dare maggiore visibilità al lavoro dei tanti che operano nel mondo della cooperazione, portando in prima serata un tema di cui sentiamo parlare solo in poche righe a corollario della notizia relativa a questa o quella guerra o emergenza umanitaria.<p>
Ma il fine giustifica davvero il mezzo? Perché non stiamo parlando di un documentario, o di una serie di trasmissioni con dibattito, i programmi sono presentati nel format del "reality show". Un format che ha provato ad utilizzare tutti gli sfondi possibili ed immaginabili per le sue riprese e che dopo "la casa del grande fratello", "l'isola dei famosi", "la fattoria e c. adesso utilizerebbe i campi profughi come set.<p>
E anche se gli <a href="http://www.volontariatoggi.info/?p=10964">ideatori del programma</a> sostengono che non si tratterà di un reality ma di un docu-film, mi chiedo se davvero non sia possibile andare oltre al modello "celebrità che visita il campo profughi" per accendendere i riflettori sul tema?
E poi che dire, il mondo anglosassone manda a spasso Angelina Jolie, Clooney e Bono e noi rispondiamo con Al Bano, Emanuele Filiberto e Cucuzza...<p>
Perché secondo me per cambiare davvero le cose nella percezione, non serve accendere per l'ennesima volta dei riflettori che usano le vittime come comparse in un film di cui i nostri cosidetti VIP sono gli attori, ma una volta tanto iniziare a presentare queste persone, e non come "le vittime", ma come Ahmed, Biniam, Saba, Amina, ognuna di loro con la sua vita, i suoi sogni ed i suoi diritti. <p>
C'è una <a href="http://www.change.org/it/petizioni/rai-non-mandare-in-onda-il-reality-the-mission-nomission">petizione online</a> che chiede di bloccare la messa in onda, io l'ho firmata. <p>Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6163078408589261017.post-86805233784090072772013-07-20T04:20:00.001-07:002013-07-20T04:28:10.478-07:00Un Das a Ponte Vecchio?Girando per Asmara poteva capitare di trovare ad un certo punto quattro pietre in mezzo alla strada che indicavano come quella via fosse chiusa alla circolazione, e più avanti, a sottolineare come anche a non volere il divieto andasse rispettato, un grande tendone di tela grezza ostruiva l'intera sede stradale.<br />
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Era il Das, un tipo di struttura che la municipalità affittava in occasione di eventi di particolare rilevo per la comunità di cui i matrimoni erano forse quello più ricorrente.<br />
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Avere un Das montato a due passi significava dover per qualche giorno ricorrere ad altri percorsi e sapere che nella notte della festa probabilmente per l'intero quartiere sarebbero risuonate le note ed il continuo tu tumm, tu tumm della musica tigrina, che non mi è mai parsa troppo elaborata nella parte ritmica ne troppo attenta a contenere i decibel.<br />
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Ricordo di aver sentito ogni tanto il sarcasmo di qualche occidentale su questa abitudine di chiudere le strade, e capitava anche che la borghesia asmarina per distinguersi celebrasse le sue feste in qualche albergo disdegnando il più tradizionale e popolare tendone. Ma una cosa era certa, l'uso della strada per piazzarci il Das per qualche cerimonia privata veniva considerato dagli asmarini come una cosa normale.<br />
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Ma probabilmente il motivo era assai semplice: quei matrimoni erano celebrazioni della comunità. Più volte mi capitò di essere invitato ad entrare, e la consuetudine era che all'ingresso ci fossero dei parenti o amici degli sposi che prendevano i nomi dei partecipanti, ed un contributo alle spese. Mi raccontarono anche che volendo il contributo poteva essere dato all'uscita, magari in relazione alla bontà del rinfresco.<br />
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Mi sono venute in mente quei Das asmarini leggendo del banchetto organizzato a Firenze sul <a href="http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2013/1-luglio-2013/affittato-ponte-vecchio-una-cena-privata-polemica--2221933362869.shtml">Ponte Vecchio</a> tre settimane fa e per cui vi sono state molte polemiche.<br />
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Depurate di simpatie ed antipatie per il Sindaco di Firenze, quali sono per me gli elementi su cui discutere:<br />
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a) la dimensione pubblica dell'evento privato: ponte vecchio o gli <a href="http://firenze.repubblica.it/cronaca/2013/07/19/news/affittare_gli_uffizi_per_cena_con_15mila_euro_si_pu_fare-63329732/">uffizi</a> possono anche essere affittati per eventi, ma qual'è l'utilità pubblica? Ed è probabilmente compito di coloro cui è stato affidato il bene di dimostrarla. Per i Das eritrei era semplice: non solo la consapevolezza che chiunque poteva affittarli, ma anche il fatto che l'evento era percepito come evento della comunità.<br />
<br />
b) la dimensione economica: il passaggio dall'idea "democratica" della gestione degli spazi pubblici, cioè che il loro uso anche privato sia condizionato ad una vera o presunta utilità per la comunità, a quello che basta pagare la tariffa ed anche i luoghi più simpolici per la comunità possono essere chiusi al pubblico.<br />
<br />
Questo diventa ancora più difficile da soppoeratre in tempi in cui la crisi ripropone il tema delle diseguaglianze e della insopportabile permanenza di elite cui molto è permesso perché monetizzabile, ed tutti gli altri.<br />
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C'è una strofa della canzone forse più celebre di Woody Guthrie, "This Land is Your Land" che dice:<br />
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As I went walking I saw a sign there<br />
And on the sign it said "No Trespassing."<br />
But on the other side it didn't say nothing,<br />
That side was made for you and me.<br />
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Credo che questa sia la domanda che poniamo tutti: quali parti di questa terra, che vogliamo sia di tutti, sappiamo esser fatta per noi. <br />
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Forse un ponte dovrebbe essere una di queste...Dino Lorimerhttp://www.blogger.com/profile/07409067430079087882noreply@blogger.com0