20.4.09

Terremoto, generosità private ed impegno pubblico

Siamo stati in tanti a sottoscrivere via SMS per l'Abruzzo. E del resto era difficile non farlo, con quel numero in perenne sovraimpressione in ogni programma che parlava del terremoto. Adesso tuttavia rimane l'impressione, almeno per me un po' fastidiosa, di aver partecipato ad uno dei tanti televoto che sono oramai diventati la cifra dello spettacolo TV contemporaneo, e la certezza, ancora più fastidiosa, almeno per me, di non aver alcun mezzo per essere certo che quei fondi siano ben spesi. Per non parlare infine dell'irritazione che mi da pensare che il governo puo' permettersi di evitare di offrire solidarietà pubblica attraverso il fisco, perchè tanto vi è la generosità privata.

Il tema della privatizzazione dell'intervento di aiuto era già apparso qualche settimana addietro, quando il PD aveva proposto una tassazione speciale sui redditi più alti per aiutare i disoccupati. Una delle risposte di Berlusconi fu che i ricchi facevano gia' beneficienza... Mi ha molto colpito poi come pochi giorni dopo il rifiuto di Berlusconi ad intervenire, la CEI avesse presentato la sua proposta di salario integrativo per le famiglie in difficoltà...L'iniziativa era lodevole, ma perchè un corpo della società, pur importante come la chiesa, deve supplire in Italia facendo quello che in buona parte dei paesi del G8 fa il sistema pubblico?

Come al solito credo che il tema abbia moltissime sfumature, tuttavia credo che vi siano delle cose da sottolineare:

a) le raccolte fondi volontarie sono sicuramente importanti perchè testimoniano l'empatia fra i destinatari ed i donatori, tuttavia questa è tanto più forte quanto chiari sono gli obiettivi ed i destinatari. Altrimenti il rischio è appunto quello di un "effetto televoto".

b) Tuttavia è l'intervento pubblico, almeno nel caso di calamità, che da il segno all'intervento, non solo per le modalità con cui recupera le risorse, ma anche per il contesto tecnico e normativo che rende possibile ed il sistema di valori a difesa dell'intersse pubblico che deve saper indicare (ad es. normativa antisismica e c.).

Ma per tornare al terremoto...La generosità degli italiani probabilmente contribuirà a rendere possibile la ricostruzione dell'Aquila, tuttavia ad oggi non sappiamo ancora come farà il sistema pubblico a mettere la sua parte. Sappiamo solo che e' stato detto che non verranno alzate le tasse e non verrà accantonata la spesa per le opere pubbliche più simboliche. Come non sappiamo se risponderà positivamente alla richiesta più pressante venuta in questi giorni, ovvero che siano accertate le responsabilità e fatto in modo che chi ha costruito male non possa partecipare alla ricostruzione. Mi pare di capire dallo scambio di battute che vi è stato sulle inchieste della procura dell'Aquila che questo tema non sia nelle corde di Berlusconi.

Per adesso però questi temi non fanno presa, anzi i sondaggi danno in ascesa Berlusconi, dimostrando come gli italiani si fidino di lui come capocantiere. Siamo alle prese con quella che Ilvo Diamanti ha chiamato la Tirannia della bontà (http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/sisma-aquila-8/mappe-19apr/mappe-19apr.html), dove scrive: "Guai a sottolineare le gaffe del premier. Guai a contestare il governo. La processione dei ministri, sui luoghi del disastro. Per non minare l'unità del paese, riunito intorno al dolore e al bene comune." Aggiungerei poi che gli spazi della critica sono peraltro ben presidiati dal presidente della camera...

E fra 40 giorni si vota...

3.4.09

Cosa e' successo dell'Africa?

Non sapremo mai quanti sono gli africani che sono morti nel canale di sicilia, come probabilmente non conosceremo mai i numeri relativi alle persone che sono morte nel corso del viaggio per arrivare ad imbarcarsi su una delle tante carrette che hanno attraversato il tratto di mare che separa l'Africa dall'Italia.

Per ognuno di quei morti ci sono famiglie in qualche paese dell'Africa che hanno raccolto i soldi necessari al viaggio, consci che un esito positivo poteva significare la differenza fra poverta' assoluta ed il modesto benessere che le rimesse del congiunto potevano assicurare. E per anni rimangono con la speranza di ricevere un segno di vita, come i famigliari di quei soldati in guerra rubricati alla voce "dispersi".

Un dato che esemplifica rapidamente la rilevanza che ha per l'Africa la migrazione e' che il volume delle rimesse in Africa e' almeno 4 volte quello degli aiuti allo sviluppo. Anche qua si parla di stime, perche' le rimesse non sempre prendono i canali ufficiali.

Basta aver vissuto per un po' in Africa per avere chiara la dimensione di quello che in gergo viene definito il "push factor": un giovane africano ha decine di motivi per partire, e la sua famiglia allargata ne ha altrettanti per aiutarlo nei suoi sforzi.

E' un flusso continuo. Immaginatevi cittadini di un paesotto come ce ne sono tanti in Italia, ed ogni pomeriggio fate la consueta passeggiata nello struscio del paese. Ed immaginatevi di notare come ogni giorno da quei gruppi di ragazzi che incontrate manchi un'altra persona. Una volta e' la ragazza bassina, un'altra volta invece il ragazzo che parlava sempre ad alta voce, e cosi' via, fino a che di quel gruppo non rimane che solo il ricordo.

Personalmene penso che viaggiare e fare esperienze diverse non sia sbagliato, e pertanto non me la sento di criticare chi parte, come invece fa sia la retorica nazionalista di quei paesi o le frasi di chi a casa nostra cammuffa il suo timore per il nuovo rappresentato dall'immigrazione dicendo "cosi' impoveriamo l'africa delle sue menti migliori". E del resto non dimentichiamoci quanto stanno facendo per costruire una cittadinanza europea tutte le norme che favoriscono la circolazione delle persone, dal momento della scuola coi programmi erasmus, alle norme sul lavoro dei cittadini europei.

So tuttavia che solo una parte di quei migranti si muoverebbe se non ci fosse il formidabile "push factor", ovvero la miseria dei loro paesi.

Tuttavia anche rispetto alla miseria occorre intenderci. La nostra immagine dell'Africa e' quella dei bambini scheletrici in braccio a qualche missionario (bianco) o a qualche rock star. La realta' e' per la verita' assai piu' articolata. E spesso assai meno edificante per noi di quello che invece le immagini del missionario o della rock star ci fanno pensare. Ad esempio: sul Darfur molto si e' detto rispetto alle cause del conflitto nella regione, dal contrasto arabi / africani alla lotta per il controllo delle risorse petrolifere. Assai meno si e' detto sul fatto che il contrasto nasce dalle contrapposizione fra culture nomadi e culture contadine in una area sotto pressione per i crescenti cicli siccitosi. Il fatto che l'area sia ricca di campi petroliferi non ha aiutato, ma vi e' un ragionevole sospetto che i cicli siccitosi sempre piu' numerosi siano figli dell'effetto serra di cui siamo direttamente responsabili.

Ma non facciamoci fuorviare: ben pochi profughi Fur stanno sui barconi. La maggioranza di loro saranno in qualche campo profughi del chad. Chi viene in Europa in cerca di fortuna e' chi sa che ha qualche possibilita' di farcela. Per possibilita' si intende un tessuto famigliare in grado di raccogliere i soldi necessari per pagare "passeurs" e scafisti, qualche collegamento in Europa e sopratutto qualche capacita' da giocarsi. In sostanza sono i figli della piccolissima borghesia africana, quelli che hanno imparato qualche lingua a scuola, che hanno accesso alla TV satellitare, che hanno avuto la possibilita' di frequentare la scuola secondaria, magari grazie a qualche borsa di studio.

Perche' non rimangono a casa loro, come spesso si sente dire nelle sfuriate da bar di qualcuno? Una delle risposte e' che a casa loro non hanno molte speranze di cambiare la loro vita...E' possibile diventare ricchi in Africa, e spesso di una ricchezza inimmaginabile, ho ancora il ricordo di una rolls royce bianca che circolava tranquillamente per la Township di Alexandra in Sudafrica, tuttavia le opportunita' per la maggioranza della popolazione sono assai ridotte, e le aspettative o vengono ridimensionate o l'unica strada passa per le piste del deserto.

Si potrebbe poi aggiungere molto a questo, mi limitero' a ricordare come per decenni i paesi africani sono stati destinatari di prestiti che non potevano ripagare, qualcuno stimava qualche anno fa che fino a meta' anni 90 l'Africa aveva ripagato all'occidente in interessi sul debito una cifra pari a 10 volte il piano Marshall che servi' a ricostruire l'Europa, solo che a differenza del caso delle banche americane di cui si parla in questi mesi, sono stati gli africani a pagare per quei debiti. Ed hanno pagato in termini di riduzione sostanziale dei servizi che garantivano i piu' poveri.

"Aiutiamoli la cosi' che non se ne debbono andare..." un'altro dei luoghi comuni echeggiati anche nelle aule parlamentari, a nobilitare la discussione su qualche ulteriore modifica restrittiva alle leggi sulla migrazione.

Peccato che a questi appelli non sono mai seguiti atti coerenti. Ogni anno la prima voce tagliata e' quella dei bilanci della cooperazione allo sviluppo e l'Italia oramai e' fanalino di coda fra i paesi piu' sviluppati negli aiuti allo sviluppo. Ed avendo gia' visto come comunque questi siano solo una piccola parte dei bilanci dei paesi africani, non c'e' da stupirsi se i giovani africani preferiscono fidarsi piu' dei loro piedi e della lunga pista nel deserto anziche' delle promesse del governo italiano o dei vari G qualche cosa...

In queste settimane si sono rinnovati gli appelli a non dimenticarsi dell'Africa. Purtoppo temo che l'appello dimostra come la partita sia forse gia' compromessa. Questo perche' in mezzo alla crisi e' difficile ricordarsene, perche' le crisi di quel continente sono precedenti alla nostra, perche' non riusciamo a pensare a come interagire con quel continente mentre chiudono le nostre fabbriche, perche' se e' possibile pensare alla crisi come una opportunita' per investire sulla sostenibilita' o sul rinnovamento del sistema finanziario, c'e' poco in questa crisi che ci ricordi dell'Africa, sia come causa che come opportunita'.
Ci sono solo le sensazioni prodotte dalle immagini dei barconi su Lampedusa.
A me provocano disagio. Temo pero' che tanti preferiscano cambiare canale.