11.9.09

Mappe

Ambroise Tardieu - CARTE de L'AFRIQUE Dressee pour l'intelligence de L'histoire generale des Voyages de LaBarpe

La mappa riprodotta qua sopra evidenza l'Africa come la conoscevano gli europei nel 1821: l'estensore francese segnalava l'enorme spazio bianco nel mezzo del continente con una frase "partie intérieure inconnue aux Européens".

Oggi che le mappe geografiche dell'Africa sono assai più dettagliate e precise, viene da chiedersi quanta parte della mappa ideale, culturale, economica e politica del continente sia ancora sconosciuta agli europei.

Certo i giornali ogni tanto parlano di Africa ed africani. La globalizzazione delle destinazioni del turismo organizzato ha trasformato quelle che erano nomi mitici dei viaggiatori di fine '800, in oggetto di racconti da prima settimana di rientro in ufficio, con annessa immagine di sfondo sul computer al lavoro.

E tuttavia a parte i luoghi comuni su mal d'africa e senso del ritmo da una parte e sui mali endemici del continente dati da fame, fallimenti, dittature, autocrati e corruzione dall'altra, pare ci sia poco di nuovo nella nostra mappa mentale del continente.

Qualche tempo fa ho assistito alla proiezione di un documentario realizzato per illustrare una bella iniziativa della coop, una iniziativa che ha messo un gruppo di ragazzi toscani in contatto con la realtà di una delle bidonvilles di Nairobi, dove un gruppo di religiosi sta portando avanti un progetto per il riutilizzo nel mondo della moda etica dei materiale della vicina discarica.

Una bella iniziativa e tuttavia la natura del filmato, tesa a documentare l'impatto dell'Africa su un gruppo di ragazzi toscani, ancora una volta ha enfatizzato sopratutto l'elemento occidentale che interviene e non i protagonisti locali.

Ed allora il rischio è di perpetuare l'idea che l'Africa sia un buco nero popolato solo da poveri, prostitute, donne in fuga da malattie, carestie e guerre, con una schiera di bambini con mosche svolazzanti attorno. Un buco nero che ci aspetta e dove tuttavia si trovano anche le meravigliose zone selvaggie dove circolano i documentaristi del national geographic pronti a documentare le fantastiche tecniche di caccia del licaone.

Ma l'Africa è molto di più e molto di diverso. Solo che contiene in maniera brutale anche quello che da qualche tempo abbiamo cercato di nascondere anche da noi. L'impressione che si ha visitando le capitali africane, vedendo quanto possa essere ricca la classe dirigente di quei paesi, e' che accanto alla povetà e sottosviluppo, per cui comunque la società africana aveva strategie antiche di adattamento nelle strutture comunitarie, siano cresciute invece le ineguaglianze che nei momenti di crisi sono il terreno fertile per instabilità.

Parlo di quella forbice fra ricchi e poveri che ridotta in tutto il secondo dopoguerra nell'occidente, ha ripreso a crescere in modo prepotente nell'ultimo ventennio.

Qualche tempo fa ad un seminario sindacale in Africa, la persona che coordinava il seminario prese un po' di delegati e chiese loro di stimare la percentuale di ricchi, intesi come tali quelli che possono mettere da parte qualche cosa di quello che guadagnano. La platea disse che a loro avviso erano il 10% della popolazione africana. Poi chiese loro quanti erano definibili come piccola borghesia che viveva con quel che guadagnava, e la stima era il 20%. Il rimanente era il 70% povero. Il secondo passo dell'esercizio era quello di stimare le porzioni di ricchezza detenuta dai tre gruppi. E rispettivamente venne fuori un 70%, 20% e 10%. Infine prese dieci persone e dieci sedie e chiese ai rappresentanti dei diversi gruppi di sedersi sulle proprie sedie. Una modo brutale per mostrare come una sola persona (il 10%) aveva sette sedie, due persone ne avevano una a testa, e che 7 persone dovevano condividere una sola sedia.

Le percentuali di distribuzione della ricchezza in Africa sono probabilmente un po' diverse da quelle stimate in quella sede, anche se dove ho lavorato le percentuali di popolazione sotto la soglia della povertà si avvicinavano molto a quel 70%, e tuttavia l'esempio dimostrava assai bene la natura di molti dei conflitti d'Africa. Non è sottosviluppo, è la distribuzione ineguale delle risorse.

UNDP - Gini Coefficient World Human Development Report 2007-2008
In statistica esiste un indice inventato da un italiano dei primi del 900, si chiama indice di Gini e viene utilizzato dalla agenzie che si occupano di sviluppo per calcolare la distribuzione della ricchezza all'interno dei vari segmenti della società. Più l'indice si avvicina all'1 più alta è la diseguaglianza in quel paese.

Nei paesi europei l'indice oscilla fra 0,2 e 0,3, negli Usa è più alto e sta attorno allo 0,4.

In gran parte dei paesi africani per cui è stato calcolato l'indice sta fra lo 0,4 e lo 0,7. Le cose vanno ancora peggio in America Latina, dove tutti gli stati latino americani hanno un indice di Gini elevato.

In Sudafrica uno dei temi che ha influito sugli equilibri interni al partito di governo, l'ANC, è stato proprio quello delle diseguaglianze. In sostanza i critici delle politiche di Thabo Mbeki gli imputavano di aver favorito la nascita di decine di milionari grazie ai programmi per il Black empowerment, ma che questo non aveva diminuito le diseguaglianze, ed è su un programma indirizzato a favorire, almeno nelle intenzioni, la redistribuzione del reddito, che Jacob Zuma ha vinto prima la nomina quale presidente dell'ANC e poi le elezioni in Sudafrica.

Chi ha amici africani conosce quanto forte sia fra loro il senso di appartenenza ad una famiglia ed ad una comunità e quanto ad esempio la necessità di essere in pace ed in accordo con i propri simili costituisca quasi un imperativo morale. Nei villaggi, quando ci sono crisi, si muovono gli anziani per provare a mediare fra le parti in causa. E' pertanto sorprendente la ferocia e cattiveria che hanno caratterizzato i conflitti africani di questi anni, tanto da farci chiedere se le persone che si sono fatti a pezzi a colpi di machete fossero le stesse sempre pronte a condividere il poco che avevano con l'ospite. La risposta è amaramente affermativa. Le guerre, i conflitti, le tensioni hanno tutte avuto a loro fondamento la distribuzione delle risorse.

La domanda è se questo sia dovuto ad un elemento antropologico legato alla natura dei vari popoli africani, od invece non sia dovuto ai corti circuiti che ogni tanto si creano quando culture deboli entrano in contatto con forze più grandi di loro, e non c'e' dubbio che il mondo africano è stato uno dei soggetti deboli del mondo uscito dalla rivoluzione industriale.

Ma torniamo al nostro indice di Gini, uno strumento imperfetto di misurazione della diseguaglianza, anche perchè calcola le differenze interne ad un paese e non le diseguaglianze a livello di continente o mondiali: diseguaglianze e povertà sono particolarmente presenti in America Latina ed Africa, due continenti ricchi di risorse naturali. E sia in America Latina che in Africa per decenni si sono sperimentati vari tipi di governi, quasi sempre dai caratteri fortemente autoritari.

La verità è che per il sistema di produzione industriale l'accesso alle materie prime richiedono un paio di presupposti, che non sono necessariamente conseguenti ai sistemi democratici e che sono: controllo del territorio, e certezza nella continuità delle forniture. Sono due presupposti che sono assai più facilmente ritrovabili sotto governi dittatoriali amici che non sotto democrazie soggette alla volatilità dei corpi elettorali. L'11 settembre non è solo l'anniversario dell'attentato alle torri gemelle, è anche l'anniversario del golpe in Cile, quando fu deposto un governo democratico che fra le varie cose fatte aveva anche ardito di nazionalizzare le miniere di rame della Kennecot e della Anaconda.

A questo destino non è sfuggita l'Africa, dove per decenni sono andati di pari passo gli interessi geopolitici con la stabilità di governanti più o meno corrotti ed i contratti di sfruttamento minerario.

Purtroppo le cose non sembrano migliorare per il futuro: nella divisione internazionale del lavoro il posto assegnato all'Africa è ancora quello di fornitore di materie prime, e sulle materie prime si stanno combattendo guerre, costruendo fortune e determinando la nuova geografia politica del continente.

In una recente intervista di presentazione del suo libro "Architects of Poverty" Moeletsi Mbeki, commentatore politico ed imprenditore sudafricano, nonché fratello dell'ex presidente del Sudafrica, ha parole durissime per le elites africane, a suo dire responsabili di proseguire le politiche coloniali di rapina delle risorse naturali del continente senza investire nella industrializzazione dei rispettivi paesi, anzi favorendo la deindustrializzazione del poco che c'era. Insomma diventando ricchissimi rendendo più poveri i proprio concittadini.

E rieccoci alle ineguaglianze: ci sono villaggi, persone, famiglie nel continente africano in grado di vivere una esistenza frugale in modo anche assai felice, e ne ho incontrate molte negli anni passati in Africa. Ma è difficile che queste persone siano disposte a tollerare per sempre che altri diventino ricchi sfruttando la loro frugalità, le loro terre, le loro risorse: alcuni vogliono la loro parte, che siano gli abitanti del delta del Niger, le popolazioni del Congo, i pescatori somali, e come questo accade è evidente dalla cronaca.

La lotta alla povertà come lotta alle diseguaglianze. La lotta alle ingiustizie come contrasto alle guerre.

Credo che sia tempo di aggiornare le nostre mappei e magari di riprendere alcuni slogan antichi.