23.8.12

L'arcobaleno non brilla a Marikana


Pochi giorni fa le reti televisive mostravano a tutto il mondo le immagini della polizia sudafricana che sparava su una folla di manifestanti neri: purtroppo non erano immagini di repertorio tratte da qualche documentario sugli anni dell'apartheid ma erano invece cronaca di una protesta sindacale finita nel sangue, con 44 morti ed un paese ad interrogarsi su cosa fosse successo nella collina dietro a Marikana nel north west cape.

A pochi giorni di distanza dagli eventi dalle cronache degli inviati la dinamica dei fatti pare assai chiara: chi doveva garantire l'ordine pubblico in una situazione di altissima tensione ha probabilmente sbagliato qualcosa nelle valutazioni e si e' trovato in una situazione in cui ha aperto il fuoco per uscire dall'accerchiamento in cui si era trovato. Per usare le parole del capo della polizia "le circostanze richiedevano l'uso del massimo della forza".

Insomma una tragedia che forse con una diversa gestione poteva essere evitata. E tuttavia una tragedia che ha portato in piena luce tutte le contraddizioni in cui si trova in questo momento avvolta quella che fu definita la nazione arcobaleno. 

Innanzi tutto gli attori: a protestare erano lavoratori che non si riconoscevano piu' nella leadership sindacale che ha caratterizzato per anni la storia industriale sudafricana. Sbrigativamente qualcuno ha scritto che a causare gli scontri erano stati i contrasti fra il potente sindacato dei minatori NUM e un sindacato indipendente, AMCU, in fase di ascesa nei consensi. Sbrigativamente perche' con tutta probabilita' le cose sono piu' articolate perche' piu' articolato e' il modo con cui i lavoratori si rapportano con i loro rappresentanti: ad esempio secondo alcuni dei commentatori sulla collina di Marikana vi erano probabilemnte anche molti iscritti al NUM o cani sciolti. 

Ed allora la questione e' quella della capacita' che una organizzazione sindacale deve avere di capire sempre cosa accade nei luoghi di produzione, perche' i lavoratori possono avere ragione o torto, ma quando 3/4000 di loro escono dalla miniera e iniziano una protesta occorre essere la e capire cosa accade e magari rimettere in discussione anche le proprie strategie. Insomma, non ci sono probabilmente innocenti fra i sindacati.

Come non ci sono innocenti anche fra gli altri attori sociali. Fa notare Jay Naidoo, che negli anni 80 e nei primi anni 90 era stato il segretario della principale confederazione sindacale sudafricana COSATU, come sia Num che Amcu sono sindacati riconosciuti dall'impresa concessionaria delle miniere, solo che al tavolo delle trattative sindcali era stato invitato solo il primo assieme a Solidarity (un altro sindacato riconosciuto)...e' questa un'altra delle lezioni che vanno sempre ricordate a Marikana come in qualsiasi altra parte del mondo: le imprese non possono permettersi di scegliersi gli interlocutori, perche' chiunque rappresenti legalmente dei lavoratori deve sedersi al tavolo.  

Ma il tema piu' rilevante e' quello del valore simbolico che ha il campo di battaglia di Marikana: in quella miniera si racchiudono molti dei temi che hanno acceso il dibattito politico sudafricano e la strategia del partito di governo dalle storiche elezioni del '94.

Innanzi tutto le miniere: in uno dei documenti storici dell'ANC, il freedom charter, viene sottolineato come tutti debbano godere delle risorse del paese: "The mineral wealth beneath the soil, the Banks and monopoly industry shall be transferred to the ownership of the people as a whole (le risorse minerarie, le banche e le industrie monopolistiche debbono essere di proprieta' di tutto il popolo)", ed e' sulla proprieta' delle miniere da qualche anno vi e' uno scontro accesissimo fra chi ritiene necessario rivedere tutta l'organizzazione dell'industria estrattiva (la parola d'ordine e' nazionalizzazione ma la proposta e' probabilmente piu' sfumata) e chi invece preferisce una strategia di inclusione delle comunita' precedentemente emarginate nel godimento della ricchezza mineraria. 

La seconda strategia, con declinazioni diverse ha per ora prevalso, ma il dibattito continua. E vale la pena di notare come la societa' che gestisce la miniera di Marikana veda sedere nel suo consiglio di amministrazione anche Cyril Ramaphosa, segretario del sindacato dei minatori negli anni 80, segretario della ANC e presidente della assemblea che scrisse la prima costituzione fino al 1994, e poi diventato uno dei primi a lasciare la politica per dedicarsi all'impresa nella fase in cui il Sudafrica spinse attivamente per rendere meno bianchi i consigli di amministrazione delle grandi imprese con la politica del BEE (black economic empowerement).

Insomma simbolicamente a fronteggiarsi su quella collina erano gli architetti del nuovo sudafrica nel 1994, e coloro che a torto o a ragione si sentivano esclusi dalla festa.

Ma Marikana ha un valore simbolico anche per la politica: sono sempre piu' frequenti eventi che denotano che accanto al confronto fra mondo bianco e mondo nero, che ha dominato la politica del paese per decenni, e di cui la ANC e' stata protagoniste piu' significativo, affiorano sempre piu' i temi delle diseguaglianze crescenti e delle diverse opportunita' che vengono offerte ai cittadini, diseguaglianze dovute ancora al colore della pelle, ma in cui sembrano avere un loro peso connessioni politiche e appartenenze varie.

Sempre per restare a Marikana, faceva notare un giornalista come la comunita' del luogo si fosse lamentata delle procedure con cui erano state incorporate nella proprieta' potenti e ben connesse societa' BEE lasciando fuori invece il consorzio formato dalla comunita' locale perche' "erano scaduti i tempi per l'offerta". 

Certo non e' detto che un azionariato strutturato diversamente avrebbe evitato la carneficina, tuttavia la lente d'ingrandimento che l'evento ha fatto si che fosse piazzata su quella miniera, mostra i dettagli di una societa' dove la redistribuzione della ricchezza promessa dalla fine dell'apartheid sembra aver visto figli e figliastri. 

Con tutta probabilita' la lezione piu' importante che viene da Marikana e che segnera' i prossimi anni del Sudafrica e' che anche in quella societa' non e' sufficente trovare i modi per comporre la dialettica interna ad un partito che con il suo 60% dei voti puo' pensare di governare ancora a lungo: occorre invece sapere che comunque esistono dinamiche sociali che non sono condizionabili dai risultati di un congresso o di una conferenze, e con quelle dinamiche, piaccia o no occorre sempre confrontarsi. 

A fine anno la ANC terra' la conferenza che dovra' indicare la strada che intendera' prendere nei prossimi anni e gli uomini, a partire dal presidente, che guideranno l'organizzazione in quel cammino: e' assai probabile che gli spari di Marikana avranno una eco anche in quella occasione.

17.8.12

Le Guineamen e la volata della staffetta

Il podio della staffetta 4 x 100 delle ultime olimpiadi di Londra ha offerto piu' di un motivo per i commentatori. Dalla riflessione sul fatto che il talento di Usain Bolt non sia isolato in quella Giamaica fino a pochi anni fa conosciuta solo per reggae e ganja, alle considerazione che anche una piccola nazione come Trinidad e Tobago sia in grado di conquistare il bronzo in una specialita' che vede praticanti a tutte le latitudini. 

Ma senza dubbio quello che salta piu' agli occhi e' quello che oramai e' considerato quasi un assioma nell'atletica, ovvero che nello sprint il colore della pelle conta e non poco, ed i quartetti di Giamaica, Usa e Trinidad e Tobago sono la a dimostrarlo. 

A me invece quello che ha colpito e' che il podio sembrava la descrizione delle destinazioni delle navi che per 200 anni trasportarono 12 milioni di schiavi dall'africa alle americhe. 

Le navi le chiamavano in gergo guineamen e le cronache dell'epoca raccontavano come fossero riconoscibili sin da lontano per l'odore insopportabile prodotto da un carico di esseri umani stipati fino all'inverosimile per il trasporto nel "passaggio di mezzo", come veniva chiamata la traversata atlantica, tratto piu' doloroso di una triangolazione che portava i prodotti delle industrie europee dall'europa ai mercati dell'africa, dove venivano scambiati per schiavi da vendere nelle americhe, dove avrebbero lavorato nelle piantagioni di zucchero e cotone da destinare alle manifatture europee. 

 Un passaggio doloroso per 12 milioni di uomini e donne, di cui il 10/15% periva nel viaggio, e anche per chi fosse sopravissuto le prospettive non erano delle migliori: la coltivazione della canna da zucchero e' una attivita' dura ancora oggi e lo era ancor di piu' in quegli anni, quando le antille erano il centro della produzione mondiale. 

Si stima che la vita media per uno schiavo impegnato nelle lavorazioni piu' pesanti fosse di 7 anni. Ed e' anche per questo che il traffico di schiavi verso le Antille fosse forse il piu' alto di tutto il nuovo mondo. 
Quel nuovo mondo dove prima delle grandi migrazioni europee dell'ottocento, gli schiavi erano di gran lunga il gruppo piu' numeroso di immigrati, "salt water slaves" li chiamavano. 

Ma a quella tragedia, pensata, voluta e giustificata dall'uomo e gestita con leggi che definivano gli schiavi "proprieta' privata" come qualsiasi oggetto, leggi che non concedevano alcun diritto sui figli degli schiavi, proprieta' anche loro del padrone, quella tragedia e' probabilmente anche la maggior responsabile della nascita della discriminazione razziale, perche' se e' vero che la schiavitu' e' sempre esisitita e che nei secoli sono stati schiavi uomini e donne di tutte le razze e religioni, chi per sconfitta in guerra, chi per debiti, chi per chissa' quale altro motivo, e' stato probabilmente solo con la tratta atlantica allora che si e' diffusa nell'occidente l'equazione pelle nera = schiavo e l'idea che fosse normale e giusto ridurre in schiavitu' un uomo per il fatto di appartenere ad una razza da allora e per molto tempo considerata "inferiore". 

 Una idea questa che ha sopravissuto per molto dopo la fine della schiavitu'. Quella schiavitu' abolita nel regno unito con una legge che indennizzava i proprietari di schiavi per la loro perdita e non concedeva niente alle vittime dello schiavismo, salvo la liberta' di essere poveri; quella schiavitu' abolita 30 anni dopo negli stati uniti solo dopo una guerra civile e che tuttavia fu seguita da leggi che introducevano la segregazione razziale e che sarebbero state abolite solo nella stagione dei diritti civile cento anni dopo, a meta' del XX esimo secolo. 

Non so quanto tempo la scuola dedichi oggi allo studio dello schiavismo, ma sospetto troppo poco, e sospetto che sopratutto non sia ricordato come lo schiavismo non sia solo un fenomeno lontano ed oggi per fortuna illegale, ma sia stato un modo di produzione per la cui difesa si sono prodotte leggi, trovate giustificazioni morali, pseudo spiegazioni scientifiche, e che sopratutto e' stato per due secoli compagno di strada di quella rivoluzione economica che ha progressivamente trasformato l'occidente nel corso degli ultimi 300 anni. 

Con tutta probabilita' nella Londra tirata a lucido in cui Usain Bolt e compagni hanno sfrecciato verso l'oro, l'argento ed il bronzo, ancora sopravvivono palazzi e ricchezze costruite con le sofferenze dei loro trisavoli, quelli che tagliavano la canna da zucchero sotto il sole infuocato delle Antille, quelli che raccoglievono in cotone nelle colonie del nord america. Ed ahime' sopravvivono la come altrove anche le idee razziste che di quel periodo sono figlie.