17.4.20

Raccomandazione Numero 1 - Lavarsi spesso le mani

La storia era una di quelle raccontate la sera, quando la piccola comunità espatriata si ritrovava in quel ristorante per condividere qualche particolare del lavoro della settimana.

Mi colpì perché dava il senso immediato di cosa possa significare cercare le soluzioni migliori per tutti: l'organizzazione aveva qualche piccolo fondo per costruire un pozzo e doveva decidere dove fare i test per cercare l'acqua in quella regione abitata da piccole comunità di pastori le cui donne e bambini, come vuole la divisione tradizionale del lavoro in molte parti del mondo, ogni giorno percorrevano i sentieri pietrosi che portavano al wadi per approvigionarsi di acqua melmosa.

L'idea era di cercare l'acqua vicino ad un villaggio, per ridurre il peso dell'approvigionamento per una delle comunità, per poi cercare fondi per altri pozzi per gli altri villaggi, e fu proposta alla prima comunità che rispose chiedendo invece se non fosse possibile invece cercare in una zona mediana fra i vari insediamenti, in modo da fare in modo che i benefici, anche se minori, fossero immediatamente condivisi da più famiglie.

Mi colpì perché la prima proposta avrebbe ridotto al villaggio scelto da due / tre ore a pochi minuti il percorso da fare, con 20 litri d'acqua sulle spalle al rientro, mentre la seconda avrebbe invece significato comunque un percorso di un paio di chilometri. Tuttavia la comunità riteneva che quello fosse già un significativo miglioramento che andava condiviso.

Del resto ricordo come in quegli anni mi capitò fra le mani uno dei tanti documenti che parlavano delle zone rurali di quel paese e che nel evidenziare le problematiche da affrontare sottolineavano come in gran parte del paese l'acqua potabile era disponibile in media a 4/5 km dalla maggioranza degli insediamenti e come fosse da scegliere fra portarla a uno/ due kilometri o a qualche centinaio di metri.

L'obbiettivo dell'acqua in casa non era nemmeno contemplato, non perché non desiderabile, ma perché impossibile da realizzare data la povertà del paese.


Le statistiche ci dicono che oggi quella realtà è ancora la realtà di un pezzo importante della popolazione mondiale, una realtà dove probabilmente il miglioramento più vistoso è stata la sostituzione delle pesantissime brocche di terracotta, che ancora 15 anni fa ho visto usare per il trasporto dell'acqua, con contenitori di plastica, oramai omnipresenti ad ogni latitudine.

E le statistiche ci dicono anche che l'appello a lavarsi le mani spesso, ripetuto in queste settimane fino a quasi lo sfinimento in questi giorni di lockdown da COVID-19 , che per noi ci comporta solo qualche secondo in più da passare in bagno dopo essere rientrati dalla spesa, in tanta parte si trasforma in kilometri e kilometri in più da percorrere ogni giorno.

4.1.20

With out papers

"You wop!" era il modo con cui mi prendevano in giro i miei cugini Usa in una estate lontana passata dai miei nonni a Philadelphia. 

Eravamo piccoli e ben poco sapevamo del significato assai denigratorio assunto dal termine nel corso degli anni, e per altro non ne era ben chiara neppure l'origine.
Una delle spiegazioni circolate nel corso degli anni era legata all'acronimo without papers (senza documenti) che sarebbe stato spesso associato agli italiani arrivati negli USA.  Fino agli inizi del 900 infatti il possesso di un documento uffciale attestante identità e c. non era un requisito necessario per entrare negli USA e a differenza dei meglio strutturati paesi del nord europa, i migranti italiani sopratutto del sud, spesso partivano con poco più della lettera di un famigliare ed i soldi per la traversata, e tenendo ben nascoste eventuali offerte d'impiego perché le norme sull'immigrazione negli USA esigevano che la ricerca di lavoro avvenisse direttamente nel paese e non a distanza.
Quella dei documenti è una spiegazione probabilmente errata, ma la sua semplice esistenza dice molto sulla migrazione italiana e sulla storia delle migrazioni in generale. Vi era chi migrava con tutti i documenti e chi invece no, perché ciò era consentito.
Questo fino alla fine dell'800, quando furono introdotte le prime limitazioni a seguito del diffondersi delle teorie razziste nel paese, teorie che vedevano come insidiosa per il tradizionale ceppo anglossassone la crescente presenza di una immigrazione orientale. E prima con il Page act del 1875 e poi con il Chinese Exclusion Act del 1882 veniva proibita l'immigrazione cinese (va detto che il Page act, che metteva limiti fortissimi all'immigrazione femminile, fu giustificato dalla necessità di bloccare l'arrivo di prostitute dal Celeste Impero, ma ebbe più l'effetto di impedire i ricongiungimenti famigliari che non bloccare i trafficanti di prostitute che spesso avevano i mezzi per pagare i costosissimi visti).

Dal 1892 vennero introdotte ulteriori limitazioni all'insieme dell'immigrazione, con una tassa d'ingresso, le visite mediche, ed il divieto d'ingresso per criminali, instabili di mente, e persone che avrebbero potuto passare a carico della collettività, ma ancora niente richiesta di visti e passaporti...

Il primo grande blocco all'immigrazione, per chi non avesse avuto i caratteri orientali che già dal 1882 impedivano di varcare la frontiera, arriva nel 1924, quando l'opinione pubblica benpensante, preoccupata per l'alterarsi del tradizionale mix anglo-sassone, spinge per ulteriori modifiche alla legge che introducono un criterio di quote, in base alle quali non solo viene limitato il numero di ingressi in cifra assoluta, ma viene anche diviso in modo proporzionale fra i paesi in relazione alle rispettive percentuali di immigrati fra la popolazione già residente. 

Tuttavia è interessante notare come la legge non risucì a bloccare o ridurre ai numeri desiderati l'immigrazione, si aprirono o ampliarono infatti  canali alternativi che passando o dal Canada o dal Messico, permisere l'arrivo di una parte di coloro che non potevano più arrivare attraverso i canali regolari, e la storia dei decenni successivi ci racconta di quanti siano stati gli arrivi irregolari, e se milioni sono stati gli immigrati deportati nel corso degli anni, probabilmente molti di più sono quelli rimasti nel paese, ed i cui figli e nipoti sono oggi a pieno titoli cittadini USA.

Lo storico Richard White, professore alla Stanford University racconta di come scrivendo un libro sulla storia della sua famiglia di immigrati avesse scoperto che il nonno materno era arrivato nel 1936 dall'Irlanda negli Usa in modo irregolare, in quanto non avendo ottenuto il visto per le restrizioni introdotte dalla legge del 1924, era riuscito ad entrare passando dal Canada, aiutato, dopo un primo tentativo abortito alla frontiera, dal cognato poliziotto a Chicago.  E' la storia di un immigrato, ma gli esperti di immigrazione USA sono pronti ad assicurare che molti statunitensi hanno storie simili in famiglia: anche fra quei supporter di Trump che amano raccontare di come i loro antenati fossero arrivati in modo regolare e con tutte le carte in regola.

La lezione che la storia dell'immigrazione USA ci potrebbe dare, se la volessimo ascoltare, è che la legalità o meno dello status dell'immigrato non ha niente a che vedere con la natura delle persone, ma con scelte amministrative, a volte motivate da sentimenti non sempre nobili, come nel caso delle tesi sulla superiorità razziale del ceppo nord europeo che portò alla riduzione dei flussi dal sud europa negli anni 20 del secolo scorso, o i timori per l'immigrazione cinese nella California post corsa all'oro.

Ci potrebbe dire che le motivazioni ad emigrare sono tante, e a volte talmente forti da rendere difficili e progressivamente sempre più costosi gli sforzi di contenimento richiesti da leggi e norme, una verità chiara in un paese come gli USA con le sue due lunghe frontiere con Mexico e Canada, e con i tanti porti ed aereoporti di ingresso da cui arrivano i tanti che si trattengono oltre la durata del visto, ma una verità che dovrebbe essere chiara anche per l'Italia: le politiche di blocco degli sbarchi infatti sono dannatamente costose, e non sempre efficaci, perché una cosa è impedire l'ingresso in porto ad una ONG che ha effettuato dei salvataggi regolari, altra pattugliare le molte possibili rotte di scafisti e c. 

Forse alla lunga regolarizzazioni e procedure di accoglienza potrebbero risultare più agevoli e meno onerose (oltre che più umane).

Questo non significa abdicare, ma cercare di essere pratici e con buon senso, perché se si teme che qualcosa o qualcuno ci possa fare male, è bene sapere dove si trova, e l'illegaltà non è un buon posto dove tenerlo.
E poi chissà che in 30 anni non scopriremo che l'Italia del 2050 sarà prospera ed in grado di dire ancora qualche cosa al mondo perché in questi anni in cui la popolazione giovanile diminuiva drasticamente, ed interi settori produttivi si trovavano senza lavoratori, un po' di gente è arrivata, alcuni in modo regolare, altri arrangiandosi e trovano il modo di regolarizzarsi, come il nonno di quel professore di Stanford.