23.11.19

L'enigma della ragione


E' da tempo che non aggiorno il blog, eppure ne avrei di cose da scrivere, di riflessioni da condividere con amici e conoscenti, di idee da affidare allo sterminato archivio della rete: viviamo in tempi di cattiveria e stupidità, ed è forte la voglia di provare ad argomentare che cattiveria e stupidità possono produrre danni a tutti, compreso i cattivi e gli stupidi. 

Tuttavia non sono andato avanti per la considerazione che troppo spesso quando parliamo ci troviamo a discutere con chi la pensa come noi, ed i nostri ragionamenti servono solo a confermare le nostre opinioni e non a farle cambiare a chi pensiamo debba modificarle. Nella cultura anglosassone esiste l'espressione "preaching to the converted" (predicare ai convertiti) che spiega perfettamente il problema. 

Eppure la ragione dovrebbe servire proprio ad aiutarci a trovare le soluzioni migliori: è quella che ci ha aiutato a diventare quello che siamo, a passare dal piccolo ominide delle savane dell'Africa alla persona in grado di progettare missioni spaziali o più semplicemente macchinari in grado di sostituire l'intervento umano nelle attività più faticose o noiose: dalla lavatrice, all'escavatore a tutto ciò che ci rende la vita così diversa da quella di quell'ominide di tre milioni di anni fa. 

Ma la ragione rimane un enigma, perché se è quella che ci ha consentito a divenire quello che siamo, non ci impedisce di fare cose che alla prova dei fatti si dimostrano stupide, o folli, ed in grado di mettere la vita dell'intero pianeta a rischio.

La considerazione è che se il ragionamento servisse a selezionare le soluzioni migliori, in teoria anche le persone più brillanti e capaci di ragionare dovrebbero avere un vantaggio competitivo nel processo evolutivo, e quindi la propensione del genere umano a fare cose stupide dovrebbe diminuire. Ma sappiamo che non è così, per sintetizzare: anziché estinguersi gli stolti sono sempre numerosi.

Se lo chiedono anche Hugo Mercier e Dan Sperber, nel loro libro "The enigma of reason": perché se la ragione è così affidabile è in grado di produrre scelte profondamente prive di senso? La risposta per gli autori è nel fatto che a differenza di quanto pensiamo, che l'intelligenza e la capacità raziocinante sia una dote finalizzata al progresso individuale, che ci consente di affrontare le difficoltà del mondo che ci circonda, intelligenza e capacità di ragionare sono invece caratteristiche finalizzate all'agire sociale, alla costruzione del gruppo.
La spiegazione di questo enigma potrebbe quindi stare proprio nella frase "preaching to the converted", che non sarebbe un uso distorto del ragionamento ma che invece potrebbe essere proprio la sua funzione: costruire la congregazione.

In sostanza non serve che la proposta/idea/soluzione predicata sia vera o giusta, serve che ci sia un gruppo di convertiti che ci creda, perché a farci diventare quello che siamo oggi non è stata la nostra intelligenza individuale, ma la nostra capacità di operare come gruppo, prima di cacciatori/raccoglitori, impegnati a cacciare animali di grossa taglia e pericolosi, dove la coesione del gruppo è decisiva per il successo, o anche solo la soppravivenza, poi come costruttori di città, in cui per la convivenza, credere nelle stesse cose e avere fiducia del vicino è una condizione assai più importante di polizie ed eserciti.

Percui, per semplificare, la cosa predicata non deve essere vera o giusta, ma utile a tenere assieme la nostra tribù e giustificare a questa le nostre azioni. Si potrebbe dire che in sostanza quando esprimiamo le nostri opinioni cerchiamo più di capire chi la pensa come noi che convincere quelli che hanno una idea diversa. E non ci vuole troppo per capire che è il meccanismo su cui i social network hanno costruito la loro fortuna: i mi piace e il trollaggio ed i meme contro chi non la pensa come noi come forme per dire chi siamo e a quale tribù apparteniamo.

Ed è probabilmente anche ciò che ha contribuito alla nascita di culti, credenze, miti, così come alla diffusione di idee che nessun debunker riuscirà a smentire:

non importa infatti che sia possibile dimostrare che la cosa in cui credo sia vera, importa che possa condividerla con le persone che amo, con cui sto bene o di cui mi fido.

Ed è un sentimento che ci accomuna tutti, dal più sempliciotto al più raffinato intellettuale, perché tutti abbiamo necessità di sentirci parte di un gruppo, che sia una piccola associazione od un grande partito, una setta od una religione planetaria, o anche solo il ristretto gruppo dei nostri famigliari.

In definitiva è il contrario della nota affermazione di Margaret Tatcher "there is no such thing as society. There are individual men and women, and there are families ("non esiste una cosa come la società. Ci sono uomini e donne, e le famiglie").

Tuttavia se è bello scoprire quanto la nostra intelligenza sia sociale, di quanto questo conti nella costruizione del nostro orizzonte ideale, questo non ci aiuta a trovare gli strumenti giusti per parlare a chi fa parte di qualche altro gruppo, anzi, ci dice che probabilmente il ragionamento, nei modi e forme che ci hanno aiutato a costruirci le nostre opinioni, sarà un'arma spuntata per confrontarsi con chi la pensa diversamente, perché non serve tanto ragionare bene, ma capire qual'è il terreno comune all'interno del quale è possibile costruire il discorso.

Insomma è sconsolante constatare come sia difficile confrontarsi, perché quello che accade è che pezzi interi di società vivono e prosperano sulla negazione di un terreno comune e di una comune umanità, ed adesso abbiamo anche la rete che contribuisce a diffondere ed amplificare a velocità crescente le divisioni tribali.