19.5.09

Immigrazione e respingimenti

Non so se sia una peculiarità solo italiana o se sia una delle caratteristiche della comunicazione politica, tuttavia mi hanno colpito l'ignoranza e l'approssimazione del dibattito e delle "autorevoli" dichiarazioni sull'immigrazione e sul diritto di asilo degli ultimi giorni.

Intanto e' importante notare come nonostante tutti i tentativi di spiegazione, nel dibattito sulla stampa si sia equiparato diritto di asilo a diritto degli immigrati ad entrare in Italia. E' su questo sfondo in cui si inquadra il passaggio tragicomico delle dichiarazioni del ministro La Russa sulla UNHCR, l'agenzia delle nazioni unite che si occupa di rifugiati.

Probabilmente La Russa e c. non sanno o fanno finta di non sapere la differenza che c'e' fra un rifugiato ed un emigrante.

Nel primo caso si ha un soggetto che ha DIRITTO alla protezione in tutti i paesi che nel 1951 firmarono la convenzione sui diritti dei rifugiati. Una convenzione firmata dall'Italia ma non dalla Libia. Per inciso una convenzione firmata anche dall'Albania sin dal 1994, per cui il parallelismo fra respingimenti degli scafisti degli anni 90 e respingimento dei barconi di oggi è errato: nel primo caso era possibile e doveroso da parte delle autorità presenti sulla costa albanese (UNHCR compresa) verificare la presenza sui gommoni di persone avente diritto alla protezione, nel caso della Libia no.

Sui rifugiati l'Italia avrebbe poi un obbligo in più derivante dall'articolo 10 della costituzione, come hanno ricordato in molti, non ultimo Scalfari su repubblica il 17-5-2009.

Per essere ancora più chiari: al mondo in questo momento vi sono milioni di persone con lo status di rifugiato assistiti dalla UNHCR, di questi meno del 20% si allontana dalla regione in cui sono cresciuti e questo perchè la loro aspirazione è tornarsene a casa, ed è compito della comunità internazionale fare si che si realizzino le condizioni perchè questo rientro avvenga, così come è compito dei firmatari della convenzioni di Ginevra assicurare protezione anche a coloro che per motivi particolari non possono o non vogliono restare nella regione.

Anche sull'entità del fenomeno per il nostro paese è bene intendersi: in Italia solo una piccola parte degli stranieri arrivati in questi anni aveva diritto allo status di rifugiato. Solo che una parte consistente di questi arrivano via mare, e da adesso in poi sono destinati ad essere brutalmente respinti da Maroni e c....Per cui l'accanimento si esercita proprio laddove vi sono maggiori possibilità invece di trovare persone da proteggere.

Nel caso del migrante invece ci si trova di fronte ad un soggetto che per motivi economici decide di lavorare in un paese diverso dal suo. Chi si è scatenato contro la UNHCR forse non sa, ma esiste anche una organizzazione internazionale, a cui aderisce anche l'Italia, che si occupa di migrazioni, la IOM. Esiste una organizzazione specifica perchè i temi sono diversi: una cosa è chi migra per necessità di protezione, un'altra chi invece lo fa spinto dalla legittima aspirazione ad un futuro migliore che il suo paese non è in grado di assicurargli. Di migrazioni poi si occupa anche la ILO, l'organizzazione internazionale del lavoro, perchè il tema della protezione dei migranti come lavoratori è un tema non secondario.

Va infine aggiunto, quando si parla di normative internazionali, come una parte significativa degli stranieri in Italia, sia arrivata grazie alle norme che consentono la libera circolazione dei cittadini europei in europa.

Ricapitolando:

a) il diritto di asilo dei rifugiati è un diritto cui l'Italia non può sottrarsi, come non possiamo sottrarci alle altre obbligazioni che ci derivano dal nostro far parte della comunità internazionale, percui prima di respingere migranti che non può accogliere, l'Italia ha l'obbligo di accettare quelli che hanno diritto allo status di rifugiato.

b) le modalità con cui vengono stabilite le norme per aprire o chiudere le frontiere agli altri migranti sono materia invece delle leggi che volta volta il paese si da in relazione alle necessità o possibilità della propria economia.

c) il senso comune o almeno il dibattito politico si è concentrato sul problema dell'immigrazione irregolare come conseguenza degli sbarchi non bloccati per tempo, quando non solo questa risulta essere una piccola parte, ma sopratutto interessa in buona parte soggetti che sono quelli con maggiori possibilità di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato.

Ma non si tratta solo di separare i due concetti di rifugiato e migrante, ma anche di provare a guardare più in la per vedere cosa è possibile fare affinche' ci siano meno rifugiati e meno migranti...

Per i rifugiati sicuramente il tema del lavoro per la pace è il primo su cui impegnarsi, e c'e' da chiedersi se l'Italia sia sempre stata dalla parte giusta o se abbia usato al meglio gli strumenti in suo possesso. Certamente è stata dalla parte sbagliata partecipando al conflitto Irakeno che ha prodotto un paio di milioni di rifugiati. Mi pare sia stato poi deludente il lavoro dell'Italia nel consiglio di sicurezza, dove ha avuto un posto per gli ultimi due anni, e dove mi pare ad esempio abbia fatto poco (o abbia operato male) per favorire la soluzione delle crisi nelle aree che teoricamente doveva conoscere meglio del corno d'Africa (dove la sua diplomazia vanta un impegno sin dagli anni successivi alla decolonizzazione).

Per quel che riguarda i migranti mi pare che il dibattito abbia preso una strada sbagliata, dividendo il campo fra "buonisti" e "realisti", i primi a dire che occorre accogliere sempre chi bussa alla tua porta, i secondi a sostenere nel migliore dei casi che non c'e' posto in casa, nel peggiore che alla porta bussano solo persone importune, ladri e stupratori.

Sono ambedue approcci sbagliati perchè perseguono fini diversi dall'obbiettivo di gestire le migrazioni. Nel primo caso servono a conquistare un primato morale o a sentirsi a posto con la coscienza, nel secondo a sostenere la propria sintonia con timori e paure della gente comune.

Non servono i primati morali perchè timori e pregiudizi esistono ed hanno un peso, come ha ricordato assai autorevolmente il presidente Obama parlando dei timori e dei pregiudizi razziali della sua amatissima nonna e non serve demonizzarli, e non serve invece appiattirsi su una presunta opinione pubblica perchè è la natura dei problemi a non consentirlo: la fortezza Europa sarà assediata fino a quando non ci sarà un riequilibrio nella distribuzione della ricchezza a livello mondiale. Per non parlare dell'indiscutibile dato che una parte del benessere dell'Europa dipende direttamente dalla importazione di manodopera.

Non servono primati morali perchè ahimè il processo di redistribuzione della ricchezza non avviene partendo da dove le ricchezze sono concentrate, ma interessa in primo luogo i più poveri dei paesi ricchi. E sono pertanto gli strati più deboli dell'occidente a sentire la concorrenza dei paesi in via di sviluppo, così come è la forza lavoro meno qualificata dei paesi più sviluppati a sentire la minaccia dei migranti.

Non è utile attizzare il fuoco delle paure perchè fintanto che la differenza fra miseria e prosperità dei villaggi del sud del mondo sarà data dall'esistenza o meno di rimesse dai migranti, ci sarà sempre chi per cercare di dare un futuro alla propria famiglia prenderà la strada del nord, con i miseri risparmi raccolti in tutta la famiglia allargata. E tutti gli indicatori ecomomici fanno ritenere che per ancora del tempo questo gap è destinato ad accrescersi. Le ultime proiezioni dell'unione africana e dell'IMF ad esempio parlavano di una riduzione del 20% della capacità media di acquisto degli Africani, capacità che già era modestissima...

Sul volume delle rimesse ci sono dati diversi, non tutte le rimesse passano infatti dai canali ufficiali, ma si sa che in gran parte dell'Africa come minimo sono pari agli aiuti allo sviluppo, quando non li superano di molto in quantità e capillarità (per gli appassionati della storia, il primo paese al mondo che si dotò di una disciplina in materia di protezione delle rimesse dei migranti fu guarda caso proprio l'Italia, che su quelle rimesse costruì probabilmente un pezzo del suo sviluppo).

Ed allora ad essere chiamata in causa non è tanto la politica italiana (ed europea) dell'immigrazione, che fra un errore e l'altro comunque ha fatto si che in Italia ci siano comunque oltre 3 milioni e mezzo di immigrati regolari e regolarizzati, ma le politiche di cooperazione allo sviluppo. Perchè è fuorviante guardare cosa accade davanti a Lampedusa, ed è invece ben più importante vedere cosa accade prima di Lampedusa.

E' quello il buco nero di cui niente si sa. E non si vuol sapere.

Ogni tanto qualche documentario in tarda serata, quando si tratta di temi sociali, o nella fascia per i bambini, quando invece si parla di bellezze naturali, ci ripropongono uno strano continente con cui manteniamo un rapporto di estraneità, ignorando quanto di nostro è presente nelle difficoltà di quel continente e quante sono state le nostre promesse mancate da quelle parti.

Poco si dice del ruolo che l'Africa ha avuto nella guerra fredda e di come quella che da noi era fredda in Africa si è trasformata in una serie di conflitti atroci.

Poco si racconta delle risorse minerarie africane, e di come attorno a quelli si combattano guerre in grande e piccola scala. Che sia il petrolio, il rame o i giacimenti del coltan con cui operano tutti i nostri telefonini di cui siamo grandi consumatori.

E che dire della corruzione dei governi. I più informati conoscono i nomi dei governanti africani corrotti ma poco sappiamo dei loro corruttori, che troppo spesso abitano a latitudini più temperate.

Ma anche quando parliamo di impegno diretto allo sviluppo non la raccontiamo tutta: il club dei paesi più sviluppati ha promesso da anni di impegnare una quota del suo pil per aiuti allo sviluppo: quella quota è stata fissata allo 0.7. I paesi scandinavi sono assai vicini a quell'impegno se non in linea, l'Italia invece negli anni si è allontanata sempre più fino ad approdare ad un modestissimo 0,011.

Eppure è abbastanza chiaro che se non vi è sviluppo per molti paesi l'unica alternativa è l'emigrazione. E che questa può avvenire solo verso le aree più ricche, qualsiasi sia la percezione che noi possiamo avere individualmente della nostra ricchezza quando torniamo a casa su un autobus affollato di lavoratori stranieri che se ne tornano nelle loro periferie.

Ed allora per non dividersi fra buonisti e realisti: parliamo di più di cosa accade prima di Lampedusa (o oltre i confini dell'Europa) e di cosa occorre fare perchè accada sempre meno.

Intanto non sarebbe una cattiva idea mantenere le promesse: il G8 del 2005 aveva promesso un pacchetto aggiuntivo di aiuti all'Africa pari a 50 miliardi di dollari: di quel pacchetto ad oggi ne sono stati sborsati solo il 14%. Mi pare che in quanto a rapidità l'occidente sviluppato abbia velocità diverse a seconda dell'oggetto: quando si tratta di banche si agisce in fretta, se si parla di africani il passo è meno concitato almeno che non siano in prossimità delle nostre acque territoriali.

Infine un tema che meriterebbe da solo una nota, ed è quello della cittadinanza e dell'appartenenza. Mi chiedo spesso chi sia più italiano fra il ragazzo figlio di immigrati, tifoso della squadra locale, che parla con l'accento della città, che ha studiato alla scuola italiana ed invece quello che nato e cresciuto all'estero ha un passaporto italiano in virtù di una nonna emigrata ai primi del '900. Per molti il primo è straniero, o immigrato di seconda generazione, il secondo italano, con una idea quindi dell'identità e dei diritti basata tutta sul sangue. Per intendersi l'idea che trapela dietro alle dichiarazioni sulla società multietnica.

E' interessante perchè dimostra una idea debole sulla capacità di costruzione di una identità da parte della comunità italiana.

Eppure i trend nei paesi occidentali sono altri: una iniziativa di ricerca promossa dalla Ambasciata di Germania a Roma e dalla Caritas Italiana con la cooperazione della Friedrich Ebert-Stiftung evidenzia come in Germania, il paese europeo probabilmente più interessato negli ultimi 50 anni da grandi fenomeni migratori, un residente su 5 ha un passato di migrante contro la percentuale italiana di uno su 15. Una bella differenza mi pare, e non mi pare che abbia reso meno buona la birra all'Oktober fest o meno tetragono il modo di giocare della nazionale tedesca. Non so se arriveremo mai a quelle percentuali, ma comunque sarà bene avvicinarcisi preparati e con una idea da venunesimo secolo della identità italiana ed europea, una idea inevitabilmente multietnica ed inevitabilmente anche multiculturale.