24.6.12

In seconda base con licenza di pesca

Da ragazzo giocavo a baseball. Non era stato difficile per me appassionarmi allo sport, complice una estata passata dai miei nonni paterni negli Stati Uniti ed un gruppo di cugini più o meno coetanei che lo giocavano, come ogni ragazzino statunitense che si rispettasse.  

Appena più difficile trovare come continuare a giocarlo una volta rientrato a Firenze. Ma a questo ci pensò Roberto, uno dei miei compagni della 1A del liceo scientifico, anche lui appassionato dello sport, che non ricordo come aveva iniziato ad amare, forse da qualche film in televisione, e che aveva scoperto che a Firenze c'erano due o tre squadre giovanili e mi propose di entrare in quella che aveva contattato: il CUS Firenze. 

Ed è così che per un paio d'anni mi trovai a giocare, con risultati modesti, come seconda base in una squadra che comunque qualche risultato lo raggiunse, fra cui la vittoria in un torneo interregionale dei giochi della gioventù, vittoria che ci consentì di partecipare alle finali a Parma dove poi rimediammo tutte le sconfitte possibili.
Ma il particolare che forse mi ricordo di più delle partite di quel torneo era che i dirigenti della squadra dovettero affrontare il problema della mia nazionalità: essendo all'epoca cittadino USA, per le regole vigenti non avrei potuto parteciparvi. 

Risolsero il problema con una licenza di pesca: un documento che pare ai tempi venisse accettato sui campi da gioco (per le squadre giovanili) e che però non riportava la nazionalità (o forse la riportava ma chi le emetteva non andava troppo a controllare). 

Erano i primi anni '70 del secolo scorso e mi immagino che oggi le cose siano un po' diverse, e tuttavia quella questione mi torna in mente spesso quando sento parlare di cittadinanze ed identità legate a bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia. 

Perché oggi le classi sono com'è noto ben più piene di ragazzi con documenti di identità diversi, e quella che era una eccezione che io vivevo a volte con un po' di imbarazzo, oggi è una delle realtà della scuola, e mi immagino che per un insegnante anche solo organizzare una gita scolastica possa diventare un incubo per la necesstà di districarsi fra permessi, documenti di viaggio e c., 

Per non parlare di cose più prosaicamente economiche, ma non meno gravi sul piano della vita di una classe, come faceva notare solo un paio di anni fa una interrogazione al Senato italiano, relativa ad un episodio avvenuto per la visita di una classe al Vasariano "percorso del Principe" di Firenze. 

Mi immagino che per ogni Balotelli, ci siano altre centinaia di ragazzini e ragazzine che fanno sport nel nostro paese per le quali l'unica differenza, rispetto ai loro coetanei sia data da quel documento di cittadinanza italiana. 

E non è più sufficente una licenza di pesca.

Si è cittadini perché ci si è nutriti di una lingua, si è frequentata una scuola, si sono vissute le passioni e le emozioni di una collettività. 

E le società che vanno avanti sono quelle che sanno preparare il futuro ai figli, e non quelle che distribuiscono i diritti in base al sangue dei nonni.

15.6.12

La terra vista dalla terra

Quella sera Stefano ci pose un problema diverso dai soliti di cui discutevamo, quando ogni tanto ci incontravamo nella nostra piccola comunità di espatriati in Eritrea.

E per la verità la questione che gli stava a cuore non era nemmeno un problema suo, ma gli era stata esposta qualche giorno prima da un maestro elementare che aveva incontrato a qualche centinaio di km a sud di Asmara, nel corso di una distribuzione di carburante per stufette, combustibile indispensabile per cucinare in quelle zone deforestate e ancora in rovina per il sanguinoso conflitto appena concluso.

"Ei tu, che vieni da lontano, mi aiuti a trovare un modo da cui far capire ai miei alunni che la terra è rotonda?" questa la domanda. E si perché l'orizzonte di quei bambini era circoscritto fra i campi profughi dove si erano rifugiati qualche mese prima, e le modeste abitazioni in cui erano ritornati.

Me lo ricordo Stefano che si ingegnava a trovare una prova. Ad un certo punto gli venne una idea: "li carichiamo tutti su un bus e li portiamo a Massawa a guardare le navi che lasciano il porto, e quando all'orizzonte vedranno scomparire prima lo scafo del'albero, gli diremo che è la prova della curvatura terreste!".

Poi arrivarono altre urgenze, e quel viaggio a Massawa non fu mai organizzato, e chissà se quei bambini, adesso probabilmente assai più grandi, lo avranno poi visto il mare, con il suo orizzonte curvo...

Il problema di Stefano mi ha sempre colpito perché rimanda al tema dei nostri sistemi mentali, con l'insieme di regole, norme ed assiomi che ci aiutano a capire ciò che ci circonda, ma che non necessariamente spiega tutta, e anzi spesso perde di vista aspetti essenziali (per altri) della realtà.

"Ovviamente non stai facendo il giro del mondo, ma stai girando nel mondo" Furono le parole pronunciate da Paul Kruger, allora presidente delle repubblica del TransvaalJoshua Slocum, il primo navigatore a circumnavigare il mondo in solitario e che fece tappa nel porto di Durban nel 1897. Paul Kruger riteneva, in buona compagnia nei secoli, che la Bibbia fosse una fonte troppo autorevole per essere contraddetta, e che quindi la terra dovesse essere piatta per forza.

Ma se Oom Paul (come lo chiamavano i suoi compatrioti) aveva almeno dalla sua l'essere cresciuto in un contesto come quello del Transvaal della metà dell'800, e simile giustificazione l'avevano i ragazzi incontrati da Stefano, nati a pochi chilometri da un confine conteso e cresciuti su campi ancora da bonificare dalla mine, assai meno spiegabile è che il 46% dei cittadini Usa abbia molti dubbi sulle teorie di Darwin, e che addirittura l'evoluzione sia stata espunta di recente da molti libri di testo pubblicati in Sud Corea per le pressioni dei gruppi creazionisti.

Meno spiegabile ma non meno probabile...questo perché pare esser sempre possibile costruire dei sistemi di opinioni, fedi e comportamenti dotati di una loro coerenza interna che li rende assai impermiabili a suggestioni esterne. Come mostra il proliferare di sette e integralismi di ogni genere.

E questi sistemi sono spesso perfettamente sufficenti per chi li adotta: molti anni fa mi raccontava un amico che lavorava ad Harlem a Manhattan, che molti degli studenti della sua piccola scuola non sapevano di trovarsi su un'isola, non lo sapevano perché non erano mai usciti dal loro isolato, ne pensavano di farlo, essendo quello il loro territorio passato il quale erano in pericolo di imbattersi in bande rivali.

Pare essere quindi questa la sfida maggiore: capire quali sia l'orizzonte da cui partono i nostri interlocutori, capire come nascono le loro convinzioni, e su quali premesse si basino, e capire che anche per noi qualche volta la terra è piatta, e che se tutti viviamo nel nostro isolato, l'importante è saperne uscire ad incontrare il vicino....