27.1.13

Il piccolo stato: mappe


Qualche tempo fa parlando di questa bella carta dell'Africa avevo ricordato come mi era capitato più volte di veder descritta l'Eritrea come "il piccolo stato africano sul mar Rosso".

Era una definizione che mi aveva colpito perché seppur piccola in confronto ai vicini, l'Eritrea è comunque più estesa di Austria, Portogallo, Repubblica Ceca, per restare in Europa.
E anche nel resto del mondo farebbe la sua figura come paese di media estensione: con i suoi 121,000 km quadrati è pur sempre più estesa della Pennsylvania, e ben 6 volte più grande di Israele, che non ricordo di aver mai sentito definire come "il piccolo stato mediorientale".

Era un po' di tempo che non la sentivo, sospetto per la scarsa presenza dell'Eritrea sulla scena mondiale, ma comunque speravo che fosse stata archiviata.

Ed invece no, lunedì scorso, in occasione di alcuni eventi asmarini ecco qua la Associated Press rispolverare la definizione, mi immagino frutto della pigrizia copia-incolla di qualche redattore sottopressione, ed ecco la definizione diffondersi a macchia d'olio nella rete e sui giornali abbonati al servizio.

Mi immagino che qualche vecchio amico eritreo sarà pronto a vedere in questa definizione qualche oscura cospirazione nei confronti del suo paese, in fondo le dimensioni hanno un loro peso nel gioco geopolitico, e insistendo nel dirti che sei piccolo in sostanza ti chiedono anche di stare zitto ed obbedire.

Uno stato d'animo, quello della vittima predestinata dei giochi delle potenze che ho incontrato spesso nei miei anni sull'altopiano.

Non so però se sia proprio così: ho il timore che la radice sia più nella percezione che l'occidente ha del mondo in generale e dell'Africa in particolare, la percezione di chi non si rende conto che non è l'Eritrea ad essere piccola, ma l'Africa ad essere un continente enorme: un continente che  come ci fa notare sopra la bella carta di Kai Krause, potrebbe contenere al suo interno, Cina, Stati Uniti e ed India, più qualche grosso stato europeo a riempire...

E del resto da sempre vediamo il mondo proiettato su una carta geografica, quella di Mercatore, che per le distorsioni proprie del sistema di proiezione, ingrandisce sensibilmente ciò che sta più vicino ai poli, percui l'Alaska ci appare grande quanto il Brasile che è invece quasi 5 volte più esteso, la Groenlandia ci appare sterminata e sicuramente più estesa del subcontinente indiano, che invece nella realtà è di un terzo più grande.

Una carta che sembra fatta apposta per sottolineare l'importanza del nord del mondo, anche in termini di estensione

Da molti anni circola fra chi si occupa di sviluppo la carta di Peters, una carta del mondo dove invece i diversi continenti sono rappresentati per estensione con un procedimento di calcolo e proiezione che tiene in considerazione forma e dimensioni effettive.

Il risultato è quello che molti conoscono, ed il cui difetto, per usare la critica di un geografo con un certo senso dell'umorismo, è quello di far sembrare i continenti come tanti calzini stesi ad asciugare.



Stesi ad asciugare o meno, questa è la nostra terra, e almeno fintanto che tutti non saremo coscienti del fatto che le comunità di persone, che a volte si chiamano stati, contano a prescindere dalle dimensioni, sarà bene prenderne atto.

22.1.13

A proposito di un golpe fallito


lunedì 21 gennaio le agenzie battono la notizia di un possibile golpe ad Asmara, con soldati che avrebbero preso il possesso del ministero dell'informazione e ordinato allo speaker di leggere un comunicato.

Il giorno dopo le stesse agenzie parlano del fallimento del tentativo e della resa dei 200 soldati protagonisti. Fine della notizia.

Nel mezzo tante cose. Intanto il rimbalzare frenetico delle stesse quattro righe sui social media, via via conditi da articoli più o meno informati sul paese.

Di questi il mio preferito è il titolo della Stampa, che piazza Nairobi (Kenia) nel bel mezzo di un evento in corso a 1500 km di distanza.

E poi le mail di vecchi amici degli anni passati ad Asmara, tutti alla frenetica ricerca di qualche informazione in più.

Ed infine i commenti zeppi delle stesse parole, anche quelle riprese dalle quattro righe dei primi lanci di agenzia, e magari da qualche commento al volo di vecchi esperti di cose del corno d'Africa, un po' arrugginiti nelle loro conoscenze per la lunga assenza in quella parte del mondo.

(A titolo di cronaca vanno registrati anche i commenti che negano essere successo alcun ché al ministero dell'informazione e che addebitano la notizia più ai desideri di un paio di giornalisti ostili che alla verità...)

Quello che colpisce però della maggior parte di questi commenti è la difficoltà ad inquadrare il presente del paese. Lo stato d'animo delle varie fasce di popolazione, il futuro del paese e, visto l'epilogo, degli insorti.

Mi raccontava una persona rientrata da poche settimane in Italia, che nelle cartolerie di Asmara si trovava di nuovo in vendita la Costituzione approvata nel 1997 e mai resa operativa: il suo testo stampato era disponibile fino a circa il 2003/4, poi non c'erano state più ristampe. Che la voglia di Costituzione non sia limitata ai 200 che hanno invaso il ministero dell'informazione?

E come interpretare poi l'ennesimo rimpasto ministeriale di qualche settimana fa, con l'immissione di qualche ministro non sempre troppo tenero con il governo? e già, perché negli anni in cui sono stato ad Asmara ho sempre avuto l'impressione che non fosse vera l'idea di un paese dove non era consentita in alcun modo la critica. Quello che veniva perseguita, ed in modo pesantissimo, era invece la costruzione di una opposizione organizzata al governo, volta volta definita come antipatriottica, asservita al nemico, fatta da traditori.

Ed assieme a queste invece le informazioni che mi arrivavano di corrente elettrica razionata ed intere giornate senza acqua, che raccontavano di un paese che non riusciva a mantenere l'impegno di una autarchia che non necessitava di compromessi.

Quella autarchia, che per dirla con le parole con cui mi veniva descritta da un amico qualche anno fa, sarebbe servita a dimostrare che l'Eritrea poteva sopravvivere per 10 anni senza aver bisogno dell'aiuto della comunità internazionale, e che pertanto era inutile sperare di forzare il paese in atteggiamenti più accomodanti verso l'Etiopia in merito alle questioni di confine, su cui l'Eritrea aveva, ed ha tuttora ragione.

Quella autarchia che nei piani del governo avrebbe dovuto essere resa più agevole dall'avvio della estrazione dell'oro da parte di una azienda canadese la Nevsun, che ieri si è affrettata a smentire problemi per le loro operazioni in Eritrea mentre le sue azioni subivano qualche contraccolpo in borsa.

Il fallito golpe potrebbe dimostrare di come le tensioni accumulate negli anni stiano invece iniziando a esplodere anche all'interno.

E tuttavia aspetterei prima di dichiarare avviata una "primavera asmarina". In primo luogo perché quello di ieri non è probabilmente il primo episodio di insofferenza all'interno dell'esercito: negli anni che ho passato ad Asmara ogni tanto arrivava notizia di qualche episodio simile qua e la; l'unica (assai rilevante) differenza questa volta sarebbe data dal fatto che si tratta della capitale e che avrebbe bloccato la televisione.
   
In secondo luogo perché a leggere le dichiarazioni di oggi di esponenti del governo eritreo, la sensazione è quella di un approccio assai cauto. Non credo per i timori del giudizio della comunità internazionale, che non mi pare sia mai stato un deterrente, ma per gli equilibri interni al gruppo dirigente, del quale l'esercito, a cui apparterrebbero i rivoltosi, è da sempre stato una delle colonne.

E mi pare significativo che un sito della opposizione eritrea accrediti il tentativo alla voglia di ripristinare la discussione interna all'esercito sulle riforme.

Insomma, ancora una volta non è dato sapere cosa accadrà domani su quell'altopiano. Perché per fare previsioni occorre non solo sapere cosa accade, ma anche sapere cosa e come pensano i protagonisti degli eventi, e questo in quel paese è sempre stato molto complicato.

2.1.13

Fateci sapere quanto pagate

Quando facciamo il pieno raramente ci domandiamo quali percorsi abbia fatto quel petrolio prima di trasformarsi in benzina, e sicuramente niente sappiamo degli accordi esistenti fra paesi produttori e società petrolifere.

Eppure potrebbero essere assai interessante, sopratutto se si considera che solo in Africa ogni anno i guadagni dell' industria estrattiva  sono 9 volte superiori a quanto viene dato al continente in aiuti allo sviluppo.

Potrebbe essere interessante perché i cittadini di quei paesi magari potrebbero giudicare se i loro governanti stanno investendo bene quanto ricevuto per il diritto a sfruttare le risorse del paese, come descritto nella illustrazione a fianco.

Basterebbe davvero poco: una indicazione degli accordi economici paese per paese, concessione per concessione. Ed in effetti da poco tempo per le società USA vige un obbligo del genere, introdotto dalla legge Dodd - Frank  che impone la dichiarazione e la pubblicazione delle somme pagate per l'acquisizione di licenze minerarie.

Una scelta quella USA duramente contestata dalle società petrolifere, ma che dovrebbe essere imitata anche dall'Europa, se la campagna sull'Unione Europea promossa da Publish what you pay, e che è già ad un buon punto, avrà successo. Inutile dire che anche sul parlamento europeo le pressioni dei petrolieri sono enormi. E forse potrebbe essere utile sapere da che parte sta l'ENI, che comunque essendo quotata a New York è già soggetta alla Dodd-Frank.

Chiedere che stia dalla parte giusta potrebbe essere un ottimo modo da parte del nostro paese di esercitare la sua "golden share", e se le vicende degli ultimi anni hanno fatto si che mettiamo sempre meno risorse per la cooperazione allo sviluppo dell'Africa, almeno evitiamo di favorirne il saccheggio.