13.12.15

Le sedie e l'ingiustiza

L'occasione era un seminario di sindacati africani, il luogo una città dell'Africa orientale. Era la pausa caffé, quando dopo l'interminabile serie di interventi in plenaria, i vari delegati poterono scambiare quattro chiacchere fra di loro.

Bobby, il facilitatore sudafricano della conferenza era però di un'altra idea, e prese dieci sedie chiamà a raccolta tutti i presenti, chiedendo loro di indicare 10 rappresentanti.

Una volta messe vicino alle sedie  10 persone, iniziò il gioco: "qual'è secondo voi la percentuale di persone veramente ricche in africa" chiese Bobby, e alla risposta "sono il 10%", prese uno dei 10 presenti e lo mise dietro ad una sedia.

Poi chiese quante fossero quelle persone con un lavoro che gli consentiva di mangiare ogni giorno e stare relativamente tranquilli.

"sono il 20%" rispose la sala.

E Bobby tirò fuori altri due dal gruppo. Lasciando da una parte le 7 persone rimanenti, che per la platea corrispondevano al 70% povero.

Poi Bobby passò alla seconda serie di domande: "quanta è la ricchezza del 10%, e quanta del 20% e quanta del 70% della popolazione?" e ottenute le risposte piazzò 7 sedie di fronte al primo, 2 davanti ai secondi, e lasciò la sedia rimanente davanti a tutti gli altri.

"Ed ora sedetevi" ordinò Bob.

Non ricordo se le percentuali della distribuzione della ricchezza in Africa all'epoca fossero davvero quelle rappresentate dalle sedie distribuite da Bobbby, anche se mi pare non fossero troppo distanti, so che la piccola animazione dette bene l'idea della causa dei tanti conflitti di quel continente e non solo di quello.

La questione dell'accesso alle risorse è infatti alla base di tante guerre ed è bene averlo sempre presente.

Ma è un problema che ha un secondo aspetto, altrettanto importante, ed è quello rappresentato dalle 7 sedie con un solo proprietario.

La domanda da porci infatti è se sia giusto un sistema che consenta ad una sola persona di avere una parte così elevata delle risorse del gruppo.

Oramai da molti anni si parla di lotta alla povertà ma è un discorso che accanto a qualche successo, vede anche perpetruarsi se non aumentare quella ingiustizia di fondo. Perché non importa quanto le politiche di cooperazione o gli investimenti possono fare per far crescere i paesi più poveri, ma ci sarà sempre qualcuno, anche in quei paesi, che crescerà di più e che diventerà più ricco prendendosi una parte maggiore di risorse, e questo farà si che per i più poveri rimanga sempre solo una sedia su cui sedersi a turni.

Del resto è abbastanza intuitivo: in un mondo dove per lo sviluppo gioca un ruolo primario la capacità di investire capitali, saranno coloro che hanno capitali da investire a trarre maggiori benefici.

Ed è ancora più intuitivo che tanto maggiore sarà il capitale di partenza, tanto più elevata la capacità di successo e la potenziale remunerazione, con buona pace di tutte le parole spese a sostenere le pari opportunità per valorizzare il talento.

Ed allora la domanda cambia: non sarà che anziché lottare contro la povertà assoluta sarebbe più utile impegnarsi in una lotta alla ricchezza eccessiva?   

Insomma è giusto pensare alla crescita di un paese, ma senza redistribuzione nessuna crescita sarà efficace, e sopratutto giusta.   

16.5.15

La falla



"Nella legge c'è una falla" così mi dice il presidente della Federazione dell'Industria e delle Costruzioni del Sindacato etiope, "la legge sul lavoro prevede il reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente, ma lascia alla direzione la possibilità di optare per la monetizzazione, e così tutte le volte che proviamo ad organizzare il sindacato nelle aziende, i nostri attivisti perdono il lavoro ancora prima di riuscire a stabilire il sindacato".

Lo avevo incontrato perché mi aveva parlato di qualche difficoltà in un cantiere di una azienda italiana che lavora da anni in Etiopia, e volevo capire se era possibile fare qualche cosa chiedendo al sindacato italiano di intervenire con la direzione in Italia .

La chiaccherata poi si sera spostata sulle loro difficoltà ad organizzare i lavoratori in un comparto che sta letteralmente cambiando la fisionomia del paese, dove ogni poco ci si imbatte in un cantiere: dal palazzo a 10 piani alla autostrada a sei corsie fino alla diga è tutto un costruire, e molte delle aziende che operano nel paese sono straniere.

"Con gli italiani i problemi sono minori", mi dice il sindacalista, "è nelle aziende cinesi che non riusciamo ad entrare" e parla della legge sul lavoro, che se appunto vieta i licenziamenti senza giusta causa e in teoria prevede il diritto di associazione sindacale, ha però quella falla...

Ed allora non sorprende se sui cantieri si incontrano capicantiere cinesi che indossano casco ed imbragature di sicurezza, mentre danno ordini a lavoratori locali tutti rigorosamente senza attrezzature di protezione.

Non soprende perché in quella azienda non c'è il sindacato, come non c'è in tanti altri cantieri, anche locali, dove operai ed operaie lavorano su impalcature in pali di legno, dall'aspetto precario e che arrivano fino agli ultimi piani di palazzoni ben più alti dei 4 piani, che la legge stabilisce come limite massimo per quel tipo di impalcatura. 

Ho dovuto dirgli che da noi in Italia quella falla non c'era, e ce l'abbiamo messa.

8.1.15

7 gennaio 2015

La bestemmia più grande è quella di chi uccide nel nome di Dio, qualsiasi sia il nome del Dio.