27.10.12

Il costo del (quasi) made in Italy

Mi spiega Arbi, un ricercatore albanese, che le cose spesso non sono come sembrano. Recentemente il governo ha alzato il salario minimo. In Albania, come in molte parti del mondo (ma non in Italia) il salario minimo e' stabilito per legge. Detto per inciso e'un tema su cui i sindacati hanno posizioni differenziate nel mondo.

Diciamo che dove sono piu' forti ed i contratti valgono per tutti preferiscono essere loro a determinare i livelli delle retribuzioni. Comunque in Albania non vale nessuna delle due condizioni ed i lavoratori solitamente sanno che se hanno un lavoro regolare (e questo gia' restringe il campo) con tutta probabilita' sara' la legge a determinare quanto portano a casa.

Dicevo che il governo ha aumentato il salario minimo, e suggerisce Arbi che non e' per l'obbiettivo meritorio di combattere la poverta', ma per alzare le entrate fiscali. Il risultato e' che una parte del settore del tessile ha iniziato a licenziare: le fabbriche albanesi sono infatti solo uno dei passaggi del processo produttivo che produce per l'europa, e gestiscono solo la componente a maggiore intensita' di lavoro e minore valore aggiunto, ed i camiciai italiani per scegliere da chi fare attaccare bottoni o colletti scelgono in base al prezzo.

Adesso costano meno i terzisti macedoni, o montenegrini.

Ogni tanto penso che ogni prodotto dovrebbe contenere sull'etichetta, accanto alle notizie sul materiale e suggerimenti per il lavaggio, anche il percorso che tutte le parti che lo compongono fanno prima di finire assemblate in quell'oggetto che indossiamo o usiamo con piacere. Chissa' che non ci faccia ogni tanto anche pensare.

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