15.6.11

Che fine ha fatto l'Africa

Giusy si lamenta di come Republica.it affronta le tematiche africane. Nella sua lettera, riportata anche da Irene Panozzo, sottolinea la singolarità del fatto che tutte le notizie provenienti dall'Africa, anziché essere posizionate nell'area "Esteri", vengano collocate nello spazio "mondo solidale", quasi a sottolineare come dell'Africa si possa parlare solo come di quel continente dolente, produttore di guerre, carestie e profughi, ed il cui destino è essere solo recipiente della carità e pietà dell'occidente.

Difficile darle torto, anche se, come fa notare Irene, almeno a Repubblica va riconosciuto il merito di tentare di narrare una parte importante della nostra relazione con il mondo, quella appunto che si manifesta con la solidarietà e l'empatia.
Ma va detto che il problema con tutta probabilità va assai oltre alla percezione che abbiamo dell'Africa. Purtroppo l'attenzione che l'Italia ha per le questioni internazionali è residuale e comunque legata troppo spesso alla capacità di riposizionare la mappa del mondo secondo quella che è la mappa politica italiana. Insomma se al tempo dello "scramble for Africa", nel tagliare a fette il continente, la mappa cui guardavano le potenze coloniali era quella europea, in Italia nell'opinione pubblica la politica internazionale è sempre stata declinata guardando alla geografia di Montecitorio.

Per non parlare poi dei guasti dell'informazione spettacolo, dove il messaggio non è raccontare cosa succede ma dare al pubblico quello che si aspetta, per cui guerre e carestie dall'Africa per le hard news, documentari del National Geographic per i programmi di intrattenimento, ed una spruzzata di missionari per farci sentire buoni. Tutto quello che esula da questo viene espunto rapidamente perché "l'Africa non tira", come si sentì dire un mio amico qualche anno fa, mentre stava proponendo alla RAI del materiale video su una alluvione in Mozambico.

Ma a quanto pare la necessità di classificare l'Africa in un contesto ben definito non è solo un fenomeno italiano, raccontava in una conferenza qualche tempo fa Maaza Mengiste, scrittrice etiopico-statunitense che per la copertina di un suo libro la cui trama si svolgeva nel contesto urbano di Addis Abeba nel trapasso da Hailé Selassie al Derg, l'editore USA aveva predisposto una copertina con la classica ambientazione rurale con tanto di capanna e c.

Insomma parliamo di globalizzazione ma a quanto pare per adesso di globale pare esserci la diffusione dell'ignoranza degli altri, a Roma come a New York, a Sidney come probailmente a Pechino.

Ma torniamo alla nostra Africa, perché Giusy ha ragione, è un grande continente, dove c'è molto di più di quanto ci viene raccontato, e probabilmente anche ciò che ci viene raccontato è comunque deformato nell'interpretazione.

Un grande continente dove stanno succedendo cose cui sarebbe bene prestare attenzione, e che con tutta probabilità influiranno anche sulle nostre vite.

E già perché ad esempio pochi mesi fa abbiamo scoperto che i giovani tunisini ed egiziani, anziché passare, come ci veniva detto, le loro giornate a prepararsi per la Jihad, chattavano e si mandavano sms per organizzare una rivoluzione gentile. E sono abbastanza certo che pochi sanno che, secondo alcune stime, da poche settimane gli utenti africani della telefonia cellulare hanno superato in quantità gli utenti europei (il nord america era stato sorpassato a fine 2010). Insomma sono lontani gli anni in cui chi voleva far colpo sulla platea esclamava con tono grave che c'erano più telefoni a New York che in tutta l'Africa, o che molti africani non avevano mai fatto una telefonata in vita loro (ricordo erano ad esempio i cavalli di battaglia della del Walter Veltroni anni 90'...).

Per inciso grazie alla diffusione dei telefonini sono nati una quantità di servizi notevoli basati su sms e c. che noi ci sognamo: uno fra tutti il servizio di trasferimento di denaro a mezzo sms M-pesa che in Kenia ha oltre 8 milioni di utenti. Oppure sono state messe a punto iniziative poi esportate altrove, come la piattaforma software ushahidi, messa a punto per poter monitorare le violenze post elezioni 2008 in Kenia, usando i telefonini di decine di volontari.

E chissà che da questi telefonini non nascano altri movimenti.

Oppure sarà l'economia a muovere il continente, quella economia che ha portato pochi giorni fa in Sudafrica ad una riunione di capi di stato e di governo di 26 dei 54 stati africani con all'ordine del giorno la formazione di un mercato unico.

O magari sarà il grande attivismo delle nuove emergenti potenze economiche a cambiare le cose, anche se non necessariamente in meglio. L'attivismo di Cina, India, Brasile, che si stanno muovendo molto nello scacchiere africano, e che poche settimane fa hanno cooptato anche il Sudafrica nel gruppo informale BRICS, quel gruppo di economie che rappresentano una quota crescente del prodotto mondiale. E chissà che fra qualche anno non ci si trovi a constatare un po' sorpresi come nella mappa delle alleanze economiche che contano, per produzione, mercati e approvigionamento di materie prime, i paesi africani avranno scelto altri.

Certo c'è la politica africana, a volte incomprensibile, altre fin troppo chiara, e tuttavia troppo spesso banalizzata, perché l'Africa è molto di più della somma dei suoi dittatori ed autocrati.

Ma di tutto questo si leggerà poco o nulla sulle pagine dei giornali italiani, troppo più semplice continuare a descrivere l'Africa con le sue capanne, le sue guerre e la sua necessità di assistenza. Troppo più semplice per chi non ha voglia di capire.

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