6.7.09

l'Italia e gli impegni per lo sviluppo

Avvenire venerdì 3 luglio 2009 - intervista a Barak Obama "Dal G8 vorrei poter ottenere la convinzione che eravamo seri quando ci siamo incontrati a Londra (per il G20, ndr) e abbiamo specificamente parlato della necessità non solo di stabilizzare l'economia, ma anche di far sì che gli effetti immediati della crisi non siano subiti in modo sproporzionato dai Paesi più vulnerabili...come Stati Uniti...abbiamo già in programma di raddoppiare gli aiuti alle nazioni povere, non solo per interventi immediati, ma anche per il futuro. La priorità dell'America al prossimo G8 è proprio di indurre gli altri Paesi a fare altrettanto"

Ansa 27 giu. - La Camera dei deputati americana ha approvato di strettissima misura un colossale progetto di legge destinato a lottare contro il riscaldamento globale del pianeta ed a creare contemporaneamente nuovi posti di lavoro. Il testo, di oltre 1.200 pagine, deve essere ancora approvato dal Senato. Alla Camera ha ottenuto 219 voti a favore (appena uno in piu' dei 218 necessari) e 212 contrari.
Il presidente americano Barack Obama, citato dai media Usa, si e' detto felice del risultato ed ha definito il progetto come ''una vittoria del futuro sul passato'' nonche' come ''una passaggio audace e necessario''.

la Stampa, 5 luglio: Bob Geldof "La cancelliera Merkel, il premier Brown, persino il presidente Sarkozy hanno aumentato gli aiuti per la povertà. L’Italia li ha ridotti di 400 milioni. Tutti mantengono le promesse, tranne il governo italiano. Presidente Berlusconi, come può guidare il G8?".

Le citazioni riportate qua sopra danno il senso di come mentre fra gli altri pasei del G8, Usa in testa, sia evidente la connessione fra temi locali e temi globali quando si parla di sviluppo e di leadership, in Italia i comportamenti siano assai diversi.

Putroppo l'Italia che fa già fatica a guardare all'Europa, men che meno a tenta di capire cosa succede fuori dal continente. Tutto viene analizzato e verificato con logiche interne, e pure male. Tanto che immediatamente a destra c'e' chi si indigna quando uno di loro fa notare i cortocircuiti che le varie iniziative possono provocare nel paese.

Ad esempio credo che anche l'ultima uscita di Giovanardi, con l'appello alla regolarizzazione di collaboratrici e badanti, sia dovuta alla constatazione in un pezzo del PDL, della irrazionalità ed impopolarità di un provvedimento che rischia di privare una parte della società di collaborazioni rese oramai indispensabili dall'invecchiamento della popolazione e dalle insufficenze del sistema sanitario pubblico.

Eppure un paese con qualche ambizione, come dice di essere l'Italia, dovrebbe provare a ragionare razionalmente sui temi dello sviluppo e sopratutto dovrebbe farne oggetto di dibattito fra i suoi cittadini, perchè è sempre più chiaro come quello che accade in Africa od in Asia può avere ripercussioni sulla nostra vita, e sopratutto come molte delle scelte che vengono fatte nell'occidente influiscono sulla vita di quelle persone, compreso sulla scelta di molti di loro di prendere la via dell'emigrazione.

Allora partiamo dai ragionamenti razionali, provando a vedere le connessioni che vi sono fra migrazioni, tematiche dello sviluppo, tematiche ambientali e impegni dell'occidente.

1) Uno dei dati incontrovertibili è come i fenomeni migratori siano destinati a crescere, e non per i successi delle politiche economiche occidentali, che generano una prosperità che attira i poveri del mondo (quello che viene definito il pull factor) ma per gli insuccessi delle politiche occidentali laddove si relazionano ai paesi in via di sviluppo. E non si tratta solo di politiche di cooperazione, dove la lista delle promesse mancate è lunghissima, ma nel meccanismo di sviluppo dell'occidente che ha creato diseconomie per i paesi in via di sviluppo.

La vulgata dice che i paesi che sono rimasti al palo lo sono rimasti perchè guidati da autocrati e corrotti, ed è una analisi giusta, tuttavia meno si dice di come per un mondo interessato a mantenere bassi i prezzi delle materie prime, l'esistenza di autocrati e corrotti, e con un buon controllo del territorio, è spesso il prezzo da pagare per evitare che paesi ricchi di queste risorse acquisiscano anche il controllo dei prezzi delle loro risorse.

Insomma, la povertà del sud dice molto su di noi e sul nostro modello di sviluppo economico. Un modello di sviluppo economico che peraltro ha conseguenze negative anche sulla nostra qualità di vita.

Non si tratta quindi di farlo solo per "loro", si tratta di farlo anche per noi.

Questo diventa evidente quando parliamo di ambiente, e questo sarà particolarmente evidente nei prossimi mesi mano mano che ci avvicineremo alla conferenza dell'ONU di Copenhagen sul riscaldamento globale.

Una conferenza di cui poco si parla in Italia, un po' per una certa incapacità del sistema informativo a guardare a temi che travalicano i confini, un po' forse per l'imbarazzo derivante dal fatto che l'Italia è fra i paesi che meno ha fatto per rispettare gli impegni di Kyoto, un pò probabilmente per il fatto che il nostro paese è ben fornito di "negazionisti del riscaldamento globale" e come molti di questi abbiano responsabilità di governo e siano in grado di dettare l'agenda informativa.

2) E tuttavia i disastri ambientali sono un formidabile push factor: è diventato infatti sempre più evidente come gli squilibri conseguenti al fattore serra stiano colpendo in misura assai maggiore e precoce i paesi della fascia equatoriali, soggetta a regimi di pioggie torrenziali e cicli aridi con una successione e dinamiche cui quei paesi non erano abituati e peri quali non vi sono risposte nelle pratiche millenarie di quelle agricolture di sussistenza.

Ne tanto meno le economie di quei paesi sono preparate a sostenere l'impatto delle povertà di natura ambientale. E' possibile che nessuno dei clandestini africani che arrivano da noi sia direttamente un "profugo ambientale" ma è assai probabile che il mancato sviluppo del suo paese e le mancate opportunità conseguenti abbiano una derivazione di tipo ambientale. E' il caso del conflitto nel Darfur, e' il caso delle dinamiche nel corno d'Africa.

C'e' da chiedersi ad esempio quale futuro potrà avere un giovane del Chad, che è il settimo Paese più povero al mondo, dove l’80% dei suoi 9 milioni di abitanti vive sotto la soglia della poverta con meno di un dollaro al giorno. Il Chad ha visto il lago da cui prende il nome ridursi ad una pozzanghere (e' passato dai 28,000 kmq di estensione del '800 ai 1500kmq di oggi.

Il paese accoglie oggi oltre 270.000 rifugiati, in maggioranza provenienti dal Darfur e in parte dalla Repubblica Centro Africana, e assiste oltre 180.000 sfollati interni. Ed il conflitto del Darfur è stato definito il primo conflitto dovuto all'effetto serra perchè ha visto un tema antico, lo scontro fra civilta stanziali e civiltà pastorali per l'uso della terra, avvenire in un contesto di progressiva desertificazione.

3) La gravità delle modificazioni introdotte dalle mutazioni climatiche è sempre più evidente: non siamo più infatti alle lamentele sulle mezze stagioni scomparse ma ad una ben più concreta analisi con conseguente strategia, predisposta e discussa in consessi internazionali di altissimo livello, e che prevede impegni specifici da parte di tutti i paesi per la riduzione dei gas serra.

Per essere più specifici: l'impegno è impedire un aumento della temperatura globale di due gradi, soglia oltre cui si stima che i mutamenti sarebbero probabilmente irreversibili, mediante una riduzione delle emissioni dannose che riporti la terra alle condizioni del 1990.

Il dato significativo è che perchè questo obbiettivo sia raggiunto occorre che tutti i paesi concorrano: per essere chiari, se anche i paesi sviluppati rispettassero i loro impegni (e non li stanno rispettando), senza un analogo impegno dei paesi in via di sviluppo, gli obbiettivi di riduzione delle emissioni globali non verrebbero raggiunti.

Con un danno per tutti, sia per chi già vive nelle zone più fragili del pianeta, che per chi invece ancora si accorge dei mutamenti climatici per una solo per la sempre più rapida successione di fenomeni atmosferici inusuali poco promettenti per il futuro.

E tuttavia alcuni dati sono certi:

76% delle emmissioni già presenti nell'atmosfera sono responsabilità dell'occidente

un australiano immette nell'atmosfera 5 volte più di un cinese, un canadese 13 volte più di un indiano.

100 paesi in via di sviluppo, con una popolazione di un miliardo di persone è responsabile del 3% dell'effetto serra.

I paesi sviluppati hanno più risorse GDP procapite, ad esempio gli Stati Uniti hanno un GDP che è 10 volte quello cinese e 19 quello Indiano.

Questo a dire che le risorse per salvare la terra stanno prima di tutto da questa parte dell'emisfero, così come le responsabilità per i danni....

O meglio:

se i paesi in via di sviluppo intraprendono una strada simile alla nostra, i disastri ambientali saranno analoghi.

Se non si sviluppano ci sarà un inesorabile esodo verso il nord del mondo.

Per svilupparsi in modo rispettoso dell'ambiente occorrono tecnologie e risorse di cui non dispongono e che invece sono patrimonio dell'occidente...

Ed allora si ritorna al punto di partenza evidenziato dalle citazioni: abbiamo un imperativo a guardare al mondo, un imperativo che non nasce dalla pur nobile voglia di fare del bene, ma dalla circostanza che è il nostro futuro ad essere in gioco. Ed è per questo che è indispensabile sottolineare come l'Italia non stia facendo la sua parte.

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