14.4.11

A proposito di un dibattito cui ho partecipato

"Mediterraneo: qualcosa è cambiato? Libertà, speranze, guerra, petrolio"

Il tema era stimolante e la sala piena, più di quanto era lecito aspettarsi per un mercoledì sera. Forse un segno di tempi in cui si cerca di orientarsi su un orizzonte troppo a lungo dimenticato.

E come accade quando si riapre un libro abbandonato da tempo, occorre tempo per ricostruire il filo della storia, capire i personaggi, immaginarsi la trama futura. E' stato così anche Mercoledì 13 aprile scorso in una Casa del popolo di Scandicci.

Occorrerà tornarci su quel tema, per quel che abbiamo detto e sopratutto per quel che per motivi di tempo non abbiamo detto.

Io ad esempio avrei voluto parlare di più di come questo mediterraneo non è solo lo specchio d'acqua che ci separa dalla sponda sud, da quell'Africa che troppi non sanno descrivere con parole diverse da quelle con cui si parla di un malato terminale.

Avrei voluto parlare invece di più del mediterraneo come specchio solcato dalle migliaia di navi che attraversato il mar rosso ci mettono in contatto con i terminali petroliferi della penisola araba, con i centri manufatturieri dell'India, con la potenza produttiva della Cina.

Questo mediterraneo. Di cui l'Africa è sponda, ma anche questo mar Rosso di cui l'Africa è sponda, e l'oceano indiano, di cui l'Africa è sponda.


E quest' Africa che è molto di più e di diverso dal luogo dolente del "si salvi chi può", della marea umana di migranti, delle epidemie e delle carestie. Un continente  che  troppi pensano meriti solo compassione, fra l'altro assai spesso interessata.

E avrei voluto ricordare, ma non ce n'è stato il tempo, come nei giorni in cui noi discettavamo su profughi si o no, su Francia e Nato, sulla natura del conflitto libico, in Cina si teneva un vertice fra 5 paesi che rappresentano oggi il 40% della popolazione mondiale ed il 30% del prodotto mondiale.

Brasile, India, Cina e Russia si sono, guarda caso, astenuti sulla mozione delle Nazioni Unite che dava il via libera alla no-fly zone in Libia, e il quinto paese, il Sudafrica, da poco entrato nel gruppo, aveva votato a favore della mozione ma era anche stato promotore nei giorni successivi di un tentativo mal riuscito di mediazione in Libia.

Insomma nuovi attori, probabilmente ancora timidi nei loro passi sulla scena politica internazionale, ma intenzionati a farsi intendere.

E sarà bene fare attenzione a quello che dicono perché rappresentano un bel pezzo del pianeta, e che grazie ad investimenti e politica delle alleanze sta disarticolando vecchie appartenenze post coloniali.

Una nuova geografia dei poteri fra stati, che la crisi libica evidenzia con chiarezza, ed una nuova geografia dei soggetti  negli stati, di cui abbiamo parlato tanto, ma forse dovremmo parlare di più, perché per capire le rivolte non è sufficente ricordare la popolazione giovanile del maghreb, la disponibilità di mezzi di comunicazione e le crisi alimentari, occorre anche capire cosa sta cambiando in quelle società.

Capire come entrano in discussione le gerarchie, i rapporti familistici e di clan. Perché certo sono forti, della forza che hanno tradizioni antiche, e tuttavia con l'inurbamento si modificano i luoghi della riproduzione delle culture ed appartenenze antiche vengono affiancate da nuove militanze.

Nuovi condizioni di vita  e di istruzione e nuovi strumenti di comunicazione realizzano comunità diverse, con stratificazioni orizzontali per età, interessi e codici di comunicazione che danno luogo a comportamenti assai più articolati rispetto a quello portati dalla strutturazione  verticali della società rurali e a base clanica.

Come agisce tutto questo nella società? quanto cambia nei comportamenti l'appartenenza ad un sindacato o ad un gruppo facebook rispetto alle vecchie appartenenze ad un villaggio o ad un clan? E in che misura queste nuove appartenenze influiscono sulla diffusione delle opinioni? Insomma occorre uscire dal paradigma interpretativo per cui in un mondo in cui tutto si muove, a rimanere stabili sono solo le vecchie gerarchie.

Certo non è detto che tutto quello che cambia sia buono per noi, anzi, ma è certo che  quello che sta accadendo dall'altra parte del mediterraneo influirà anche sul nostro futuro.

Sarà bene parlarne ancora. E sarà sopratutto importante darsi da fare. Mettere la testa sotto la sabbia, o erigere muri non ha mai funzionato a lungo.

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