4.12.11

Ius soli e la foto della regina in cucina

Janet era una simpatica signora che lavorava nella biblioteca della scuola delle nostre figlie in Sudafrica. Con due figli, separata dal marito ed alle prese con un tumore che si riaffacciava ogni tanto nella sua vita, era sorprendente per energia, ottimismo e voglia di vivere. 

Ma non voglio parlare dei molti modi con cui è possibile affrontare le malattie, ne tantomeno di Janet, purtroppo scomparsa da anni, ma di una foto che aveva nella sua cucina in Blenheim st. a Johannesburg: una delle tante foto della regina Elisabetta II che saluta non si sa chi e non si sa dove. 


Janet ce la mostrò la prima volta che andammo a cena da lei e ridacchiando ci disse che essendo bianca e con sangue inglese, aveva pensato bene di metter quella foto. 

Il fatto che Janet l'avesse piazzata in cucina mi fece immediatamente pensare ad un intento umoristico da parte sua  (non mi farei mai proteggere la cucina da un'inglese ancor meno da una Regina);  ma le sue parole indicavano un elemento assai presente in Sudafrica, e per quanto ne so in molte altre parti del continente, nella comunità di origine inglese: l'elemento della percepita provvisorietà della loro dimensione africana. 

Ben diverso invece l'approccio della comunità bianca afrikaner, i cui legami con il paese d'origine erano quasi inesistenti, tante che venivano ogni tanto definiti "la tribù bianca". Ricordo un altro amico, afrikaner e progressista, che mi diceva: "molti bianchi hanno il doppio passaporto anche se abitano qua da più generazioni, e continuano a guardare a Londra come alla loro capitale: se le cose andranno male lasceranno il paese. Io non ho nessun paese dove andare: sono nato in Sudafrica e questo è il mio paese"

Ripensavo a queste storie in questi giorni leggendo della chiara presa di posizione di Napolitano sulla questione del diritto di cittadinanza. Perché è una questione dalle molte sfaccettature. La prima e più importante è quella della protezione: si scrive cittadinanza ma si legge necessità di essere protetto nelle comunità in cui si vive. 

Essere sudditi di sua maestà probabilmente rassicura molto di più che essere cittadino di qualche autocrazia dei paesi in via di sviluppo, e nonostante le sue singolarità, essere rimpatriati a Londra da meno problemi che fare a ritroso il viaggio attraverso il Sahara o i Balcani. E sono le aspirazioni ed i sogni di chi ha fatto quel viaggio e dei suoi figli che chiedono di essere protette. 

La seconda questione è che parliamo di immigrazioni ma sopratutto parliamo di povertà e delle aspirazioni di chi dalla povertà proviene. 

Anche se sulla povertà è bene indendersi, spesso infatti ad emigrare è la classe media, quella che non riesce a beneficiare a sufficenza del benessere di paesi in via di sviluppo, e sopratutto che per istruzione e competenze pensa di potercela fare, nel nostro immaginario l'equazione è quella immigrato = povero = ulteriori problemi da risolvere. 

Certo non tutti coloro che vivono in un altro paese, rispetto a quello d'origine, sono percepiti come immigrati nell'opinione pubblica: non furono percepite come immigrate quelle comunità straniere che dal 1800 abitarono a Firenze, forti di un cognome inglese, o svizzero o di qualche altro paese portatore di valute pregiate, ad ulteriore dimostrazione della natura economica di tanti pretesi principi mediocri...  

Insomma, il binomio pare essere sempre lo stesso: necessità di uno stato che protegga e difenda i tuoi diritti e aspirazione a migliorare la propria vita. E fa bene Napolitano a ricordare che chi queste cose le ha vissute sin dalla nascita nel nostro paese, ha il diritto di chiedere che sia il nostro paese ad assicurarle. Sono pochi quelli che possono trare beneficio da una foto della regina Elisabetta II appesa in cucina...

No comments:

Post a Comment