22.1.11

Il Pane e la borsa di Chicago

La fuga di Ben Alì dalla Tunisia che aveva governato per molti anni ha suscitato qualche allarme nelle cancellerie occidentali.
La rivolta del pane in Tunisia, così almeno è stata definita dai media, ha suscitato sicuramente molto più scalpore ad esempio di analoghi tumulti avvenuti in altre parti del mondo, quali i disordini in Mozambico nel settembre 2010.
Certo pesa la vicinanza con l'Europa, così come colpisce il fatto che la rivolta sia scoppiata in un paese che in tutto lo scacchiere arabo pareva essere il più tranquillo e dove, rispetto alla vicina Algeria, avevano avuto minor presa i movimenti fondamentalisti nel paese (nonostante qualche episodio negli anni 80 represso con pugno di ferro).
E sicuramente alla guida della cacciata di Ben Alì non ci sono gruppi fondamentalisti, anche se sono stati rapidi ad intervenire ed esprimere il loro appoggio.
Ad alimentare le rivolte sono i contraccolpi della crisi economica che incide a Tunisi come a Jakarta, a Maputo come a Città del Messico. Ed è abbastanza evidente che se una crisi colpisce duramente l'occidente, avrà conseguenze disastrose per gli strati più poveri dei paesi più poveri.
Questa la diagnosi in soldoni, eppure ci sono delle cose che non tornano e che invece andrebbero evidenziate, non con la pretesa di fornire soluzioni ma almeno per individuare meglio la malattia.
Le cause della crisi hanno ben poco a che vedere con comportamente dei paesi in via di sviluppo, non vengono da li infatti i banchieri che hanno promosso i mutui sub prime, eppure gli strumenti adottati per contrastarla hanno colpito duramente quei paesi.
In primo luogo gli aiuti diretti sono calati drammaticamente o hanno cambiato natura: e' di qualche mese fa un rapporto del fondo monetario che faceva notare come ad esempio molti degli impegni di aiuto erano passati da dono a credito agevolato, creando le premesse per una nuova trappola del debito dei Paesi in via di sviluppo se quelle economie non si irrobustiscono.
Certo, almeno per l'Africa qualche buona notizia ci sarebbe, se è vero che, almeno a giudicare dai dati più recenti, sono le economie africane ad avere le crescite percentuali migliori (ma partivano da molto indietro). E tuttavia le rivolte di questi mesi ci segnalano che è possibile che cresca il gdp, ma è certo che i benefici non sono equamente distribuiti.
Ma la crisi del 2008 ha un secondo riflesso negativo sui paesi in via di sviluppo e che dimostra ancora una volta, se ancora ce ne fosse stato bisogno, come i meccanismi autoregolatori del libero mercato lascino parecchio da desiderare: non si spiegherebbe altrimenti perché con tre annate agrarie strepitose in molte parti del mondo ed in particolare in Africa, i prezzi delle granaglie continuino a salire, per superare quelli del 2008 che avevano portato a disordini in molte città del terzo mondo.
Certo ci sono stati gli incendi russi, e le alluvioni australiane a creare tensioni sui prezzi, ma sono motivazioni che non sono sufficenti, ne basta additare a responsabile la produzione di biofuel, anche questa una possibile causa di tensione, no, c'è dell'altro: i prezzi delle granaglie crescono per gli stessi motivi per cui il costo di un'oncia d'oro ha raggiunto quotazioni impensabili solo pochi anni fa, e stesso dicasi per tantissime materie prime.
Con il sostanziale azzeramento del rendimeno dei titoli di stato Usa e l'immissione di liquidità nel sistema economico americano resa necessaria per affrontare la crisi, tantissimi capitali precedentemente impiegati sui titoli Usa sono stati impiegati altrove. Le materie prime sono un ottimo investimento in tempi di crisi finanziaria e quando pure il mattone delude.
Solo che alcune materie prime si mangiano, ed in alcuni paesi sono i consumi alimentari primari sono la componente maggiore della struttura dei consumi. Insomma i risultati di oculate strategie di investimenti o "copertura" come si dice in gergo, sono ben visibili nelle strade di Tunisi, e aggiungo che il più grande importatore di grano del mondo è l'Egitto che destina una parte significativa delle sue importazioni a beneficio della produzione di pane a prezzo calmierato. Immaginiamoci cosa potrebbe accadere se quel programma non fosse più sostenibile.
Quel che è importante notare è che i meccanismi che portano all'aumento dei prezzi delle granaglie non sono la conseguenza di un complotto di un gruppo di speculatori, come ogni tanto viene scritto; delle mele marce che rovinano le persone per bene, anche se ovviamente la finanza ha una discreta dose di speculatori e canaglie: no, è proprio il meccanismo che produce ingiustizie. E le produce a pochi km dalle nostre coste.
Non sono sicuro che l'opinione pubblica italiana si renda conto delle implicazioni, ma sarà opportuno notare come nel mese di Gennaio ci siano stati scontri e morti in due paesi a noi dirimpettai (Albania e Tunisia), certo le motivazioni ed anche i percorsi scelti sono radicalmente diversi, eppure una cosa dovrebbe essere chiara: rimanere indifferenti oltre che ingiusto potrebbe essere anche pericoloso.

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