15.2.11

Il nostro bastardo

"E' un bastardo, ma è il nostro bastardo", è una frase, spesso riportata anche nella variante "è un figlio di puttana ma è il nostro figlio di puttana", attribuita a tre o quattro presidenti USA e riferita ad altrettanti dittatorelli centro e sud americani ed è forse fra le più usate per spiegare l'approccio alla politica internazionale degli Stati Uniti, e per esteso del grosso delle diplomazie mondiali.

E' infatti abbastanza evidente quanto negli anni il tema della stabilità delle alleanze in campo internazionale sia stato ben più rilevante ad esempio di molti principi dichiarati universali con la dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948.

Nonostante una più apparente che reale modifica di approccio nel decennio delle "guerre umanitarie", terrificante definizione data all'interventismo militare degli anni 90, quando l'attenzione pareva concentrata su aree di tensione dove era evidente la violazione di diritti, le cose non sono poi cambiate gran che fino ad oggi, anzi con la stagione di Bush alla Casa Bianca, è stato ancora una volta evidente che il problema non era tanto l'assenza (effettiva) di democrazia o diritti in questo o quel paese, ma l'inaffidabilità del "bastardo" di turno al potere in un paese cruciale.

Questo perché nello schema degli equilibri generali "il bastardo" spesso garantisce il controllo per procura nelle aree strategiche, o più turbolente del mondo, esercitando una adeguata azione di "polizia" nell'area interessata, e grazie al supporto di questa o quella potenza. Un supporto dato a prescindere dai valori morali e dalla fonte di legittimazione, ma garantito dalla capacità di quel governante di mantenere la sua posizione.

Se guardiamo al mappamondo, sono abbastanza visibili i soggetti che negli anni sono stati investiti da questa funzione di procura: coincidono sempre con gli eserciti più potenti e meglio equipaggiati, con i pacchetti di assistenza militare più ricchi, e spesso con i governi più longevi.

Sono quelle che vengono chiamate potenze regionali, ed il cui compito è a volte quello di fare il lavoro sporco per conto di altri. Con buona pace di diritti umani e democrazia.

Questo il quadro fino ad oggi.

Le vicende tunisine ed egiziane introducono una novità: si sono manifestati i limiti dei "nostri bastardi" nel mantenere lo status quo, ed è apparsa chiaro che quei modelli di gestione del potere non avevano costruito un immediato ricambio possibile in linea con le aspettative della società così come si è sviluppata negli anni.

Insomma fra la struttura del potere, che nei paesi a partito unico o con un partito fortemente maggioritario è piramidale e basata su catene di comando verticali e per anzianità, e società invece composta in misura crescente da giovani, la tensione è diventata crescente fino al punto di rottura. L'aggiunta di meccanismi diversi di connessione ha aiutato a strutturare un tessuto di relazioni in grado di costruire le masse critiche necessarie.

Accanto a tutte le considerazioni che facciamo sul risveglio del mondo arabo, sulla nostra incapacità di comprendere quelle società (gli analisti accreditavano più potere ai proclami degli integralisti che agli appelli su facebook), non sarà il caso anche di chiederci se a questo punto le rivoluzioni tunisine ed egiziane, le sommosse yemenite ed iraniane, le tensioni algerine, non stiano rendendo manifesto come la politica del "nostro bastardo", oltre che moralmente poco tollerabile, si stia dimostrando sempre più inefficace, e che sia pertanto il caso di adottare un altro approccio nelle relazioni fra stati?

E poi ad oggi, non è che più di un bastardo forse si regge a malapena in piedi grazie solo al fatto che altri paesi si danno da fare perché possa "governare il suo paese con saggezza e con lungimiranza", tanto per citare lo sfortunato auspicio del nostro ministro Frattini a proposito di Mubarak?

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