23.2.11

Il santo, il dittatore pazzo e gli Stati Uniti d'Africa

"Arroganti, ma io sono un uomo libero...il disprezzo per i neri e' conficcato nelle loro teste ma io intendo restare padrone di me stesso". Furono le parole con cui Nelson Mandela nell'ottobre del 1997 rispose alle critiche dell'allora presidente degli USA  Clinton che criticava duramente la visita di Mandela a Tripoli, ed ancora: "Coloro che ci dicono che non avremmo dovuto essere qua sono senza principi morali, quest'uomo ci ha aiutati quando eravamo soli, mentre coloro che ci dicono che non dovremmo essere qua aiutavano il nemico...".

Insomma, la lista degli amici di Gheddafi va ben oltre all'elenco dei molti che si sono messi in fila davanti al tendone del colonnello nella speranza di poter beneficiare di una parte dei profitti derivanti dalle risorse petrolifere libiche: hanno sperato, approfittato, creduto in, o semplicemente tratto beneficio dalle relazioni con la Libia di Gheddafi movimenti ed organizzazioni le più disparate e disperate.

In questi giorni in cui Gheddafi, dopo aver ordinato i massacri dei civili urla in televisione "Voi che mi amate, voi libici tutti, uomini e donne uscite dalle case, attaccate i topi di fogna nei loro rifugi, purgate la Libia centimetro per centimetro, casa per casa, strada per strada. Prendeteli, arrestateli, consegnateli alla polizia. Milioni mi difenderanno, fatevi sentire e gridate "Sacrificheremo l'anima e il sangue per il nostro leader", ci si chiede come sia stato possibile che un leader come Gheddafi possa aver suscitato l'interesse di chichessia a frequentarlo, anche solo per opportunità economica.

Ci si chiede ad esempio come sia stato possibile che un uomo della statura di Mandela, considerato quasi un santo nel suo paese, si sia sentito in debito di una persona palesemente disturbata, di cui era noto come avesse represso la dissidenza nel suo paese, ed il cui equilibrio mentale era oggetto di studio delle intelligence occidentali già poco tempo dopo la sua presa del potere (va detto che se le capacità di analisi erano identiche alle capacità di previsione c'era poco da dar credito a chi preconizzava una durata breve al potere dell'allora giovane colonnello).

Certo nel caso di Mandela va ricordato che accanto al senso di riconoscenza nei confronti di chi aveva aiutato la sua organizzazione, sentimento molto forte nello statista sudafricano, era presente anche la necessità di non chiudere mai le porte del dialogo, perché una parte significativa del suo stile di leadership era occupata dal cercare sempre di tirar fuori il meglio dalle persone, anche dai "peggiori". E come si ricorderà infatti, due anni dopo la visita di Mandela a Gheddafi, la Libia consegnò ai tribunali inglesi i funzionari libici accusati dell'attentato di Lockerbie, atto che fu il primo passo verso la sospensione delle sanzioni alla Libia e che sancì un nuovo corso nelle relazioni diplomatiche di quel paese.

Ma con tutta probabilità l'argomento della follia non è sufficiente ne a spiegare il passato di Gheddafi ne il suo presente. Non è sufficente a spiegare le guerre condotte in prima persona (ad esempio Ciad 1975-1981) ne quelle fomentate addestrando truppe per movimenti di mezza africa e finanziandone altrettanti a giro per il mondo. Non è sufficente perché molte delle contraddizioni e linee di tensione in cui Gheddafi si è inserito, forte della sua forza economica sono preesistenti e purtroppo molte sono destinate a sopravvivergli se non ad aggravarsi.

Va infine aggiunto che nell'ultima fase un occhio benevolente il colonnello lo ha trovato anche in soggetti insospettabili. Come è noto la componente predominante della attività diplomatica internazionale libica degli ultimi anni è stato l'impegno nella trasformazione della Unione Africana, con l'obbiettivo ambizioso di divenire "gli Stati Uniti dell'Africa", riprendendo il sogno panafricanista dei leader dei primi movimenti anticolonialisti africani. Bene, in uno dei documenti riservati della diplomazia USA pubblicati da wikyleaks si legge "Se avvicinata con il rispetto appropriato, la Libia può essere un attore efficace per il perseguimento dei nostri (degli USA ndt) obbiettivi di politica internazionale, facendo leva sulle sue connessioni e appoggi nel continente, come ha fatto (in qualche modo) in Ciad, Sudan e Somalia".

Un'azione sicuramente derivata dal fallimento del sogno panarabo di Gheddafi, scontratosi in primo luogo con la forza dell'Egitto post nasseriano sostenuto dagli USA, e poi con la forza dei regimi presenti nel mondo arabo, e che aveva portato Gheddafi a cercar gloria nel continente africano, prima con guerre e finanziando ed addestrando movimenti guerriglieri, alcuni degni come l'ANC, altri assai impresentabili; poi indossando i vestiti della diplomazia ed aprofittando delle frustrazioni di un continente alla ricerca di un ruolo diverso da quello di campo di battaglia delle guerre vere degli anni della guerra fredda.

Un'azione che si inseriva in quel solco di aspirazioni che vedevano la soluzioni dei mali del continente in un rinascimento africano, caratterizzato da un rafforzamento delle istituzioni sovranazionali ed un loro maggiore protagonismo. Un'azione, quella libica, dagli effetti questa volta assai più positivi rispetto al supporto offerto negli anni alle instabilità del continente.

Un'azione  di cui la Libia è anche una delle principali finanziatrici, garantendo il 15% del budget dell'unione pur rappresentando solo lo 0,7% della popolazione africana. Un contributo che ovviamente si traduce in influenza, Gheddafi è stato anche presidente dell'unione, ma che assicura anche all'organizzazione una qualche efficacia nella sua attività. Ricordiamo ad esempio come l'unione abbia ad oggi missioni militari in Somalia e Darfur.

E' evidente che gli avvenimenti di Libia se hanno colpito le opinioni pubbliche occidentali, per la sconvolgente violenza delle reazioni del sistema ed il bagno di sangue ordinato da Gheddafi, hanno anche i loro riflessi sui processi internazionali in cui la Libia è coinvolta. Insomma c'è poco da sperare dalla AU, con buona pace di coloro che avevano creduto o sperato che l'attuale forma organizzativa dell'unione africana potesse preludere ad un ruolo nuovo per l'Africa. E per adesso molti tacciono. Il quartier generale della AU è silente, così come non sono molte le reazioni dei principali paesi dell'unione.  

Ed è assai probabile che sia un cambio della guardia a Tripoli che una vittoria di Gheddafi bagnata nel sangue vedranno diminuire considerevolmente l'impegno libico nella organizzazione: pare infatti inevitabile e giusto che le risorse del paese vengano in futuro dirottate nel paese.

Ne aiuterà i libici a sentirsi africani il fatto che a sparargli addossi siano battaglioni costruiti dai molti giovani provenienti dall'Africa subsahriana ed addestrati negli anni prima per essere rivoluzionari nei loro paesi, poi per essere truppi mercenarie a disposizione degli obiettivi del capo, e oggi  per fare ciò che ai soldati libici ripugnava, quello che ripugna di più ai militari di ogni latitudine: sparare sui propri concittadini.

Insomma, la scomparsa o il ridimensionamento di  Gheddafi è un evento sicuramente positivo, nel mondo della diplomazia africana le azioni ed i comportamenti del colonnello nella AU sono oggetto di racconti che comprendono tutta la gamma che va dallo scherno al terrore, tuttavia non si vedono per ora all'orizzonte altri soggetti in grado di investire sullo sviluppo di una politica africana. E questo non è un bene.

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