31.7.11

Della siccità e della carestia


Nell'estate del 2002 in Eritrea non piovve, ed anche la stagione primaverile, quella definita delle piccole piogge, fu avara di precipitazioni atmosferiche.


A fine novembre la delegazione europea di Asmara chiamò a raccolta tutte le molte ONG che allora lavoravano nel paese chiedendo loro di presentare proposte di progetto collegate alla lotta alle conseguenze della siccità. A fine novembre appunto, già due mesi dopo che era stato verificato il fallimento della annata agraria.

Vale appena la pena di ricordare che in tutta la zona del Sahel la stagione estiva è anche definita la "lean season" la stagione cioè in cui le scorte dell'anno prima sono esaurite od in esaurimento e non è ancora il momento del raccolto. Questo per dire che probabilmente in molte parti dell'Eritrea erano già mesi che si stringeva la cinghia.

I progetti vennero presentati ed inviati a Nairobi per l'approvazione. E dopo un primo vaglio venne predisposta una missione che visitando le zone colpite selezionò i progetti più aderenti allo scopo del finanziamento.

Ed era già febbraio.

E tuttavia passarono ancora parecchie settimane prima che i primi progetti venissero finanziati.

Nel frattempo era piovuto, me lo ricordo perché portammo la missione nella zona che avevamo individuato per il nostro progetto, ed i campi erano di un verde brillante, ed il bestiame che solo poche settimane prima moriva a frotte sotto al sole, pascolava tranquillo.

In realtà la storia era assai più drammatica di quel quadretto idilliaco: nel remoto villaggetto dove intendavamo lavorare (rappresentato nella foto di apertura) arrivavano ogni giorno famiglie che avevano percorso i tre giorni di sentiero che dall'altopiano portavano verso la costa, con i loro averi e tanta fame e con le storie delle loro mandrie decimate dalla carestia o vendute per comprare qualche derrata alimentare.

Perché questa è la caratteristica della carestia: sale il prezzo del pane, cala quello della carne. I pastori vendono prima che sia l'arsura e la mancanza di pascoli a far morire il bestiame. Perché il bestiame un deposito bancario in carne ed ossa, il cui valore cresce con la buona stagione, ed il cui destino è quello di ammortizzare le difficoltà nelle crisi.

Ed anche l'oro circola nella carestia, i classici ornamenti, così facili da vedere sulla fronte ed alle orecchie delle donne nelle cerimonie eritree, non rimangono nella famiglia per sempre: anche quelli seguono il destino del bestiame quando il sole brucia e la pioggia tradisce, salvo poi essere ricomprati se e quando le condizioni economiche migliorano.

Queste erano le storie che ci venivano raccontate, e che non era la prima volta che le sentivamo, e non sarebbe stata l'ultima. Perché le stagioni non sono sempre positive nel corno d'Africa, ed il passaggio da una vita semplice ma piena ad una di fame è spesso questione di qualche giornata di pioggia in meno.

E tuttavia mi colpiva come in quei villaggi si affrontassero le difficoltà: come ebbe a dire un mio amico eritreo: - nella nostra cultura un pugno di riso viene sempre diviso fra tutti i presenti alla tavola-.

Ed infine mi colpì come dal momento della prima riunione all'avvio degli interventi fossero passati 6-7 mesi, quando chi era a rischio o era morto o aveva trovato qualche altro modo per sfamarsi.

Oggi che si parla nuovamente di fame, penso a tutto quello che dovrebbe essere fatto fra una stagione infelice ed un'altra, perché non si raccoglie solo quello che si è seminato, ma anche quello che viene reso possibile dagli interventi che migliorano l'uso dell'acqua, rendono più efficenti le coltivazioni, favoriscono lo sviluppo dell'agricoltura. E sopratutto non si raccoglie cibo laddove si sono seminate sopratutto guerre ed ingiustizie.

Ed infine, per quanto prosaico e poco affascinante possa sembrare il lavoro di chi si occupa di sviluppo, è laddove ci sono comunità attive che la vita delle persone non è legata alla capacità di far arrivare un certo numero di sacchi di farina in poco tempo, perché spesso quando questi arrivano è comunque tardi, e probabilmente è su queste comunità che bisognerebbe investire ogni giorno.

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