24.7.11

I minatori di Bulqiza


Nel centro di Tirana, a pochi metri dal palazzo del primo ministro, c'è uno strano edificio dismesso a forma di piramide, ricordo del passato regime di Enver Hoxha. Il suo antistante spazio verde oramai da molti giorni ospita un presidio permanente di minatori.

Vengono tutti dalla miniera di Bulquiza, la principale dell'Albania, dove lavorano oltre 700 persone che spingendosi fino a 800 metri sotto terra estraggono il cromo. Un minerale la cui esportazione costituisce una voce importante della ricchezza del paese.

Le ragioni della protesta sono semplici: richesta di salari in linea con quelli del comparto, mantenimento degli impegni presi al termine di una vertenza precedente in tema di sicurezza, politica di investimenti sulle strutture che ne garantiscano la produttivita' ancora per molto tempo.

La storia della miniera di Bulqiza è una storia iniziata oltre 60 anni fa, quanto furono trovati i primi giacimenti di cromo ed ne fu avviato lo sfruttamento. Giacimenti che si rilevarono così ricchi da far si che negli anni 80 l'Albania risultava essere il terzo paese esportatore di cromo al mondo anche grazie ai depositi di Bulquiza.

Ma basta un breve incontro con i manifestanti, come mi è capitato di avere pochi giorni fa, per capire quanto più importante è raccontare la storia dei minatori di Bulqiza. Una storia che è stampata chiaramente sui loro visi, e non occorre sapere l'albanese per capire il senso delle parole che ognuno di loro pronunciava con voce ferma in un megafono durante un sit-in davanti alla presidenza del consiglio albanese.

E' la storia di uomini che lavorano in una miniera dove la lista dei morti sul lavoro pare non finire mai, dove i cunicoli sono strettissimi e le dotazioni di sicurezza minime e dove la proprietà non pare interessata ad investire per far si che i giacimenti possano essere ancora sfruttati negli anni, forse troppo preoccupata a seguire le fluttuazioni del prezzo del cromo sui mercati mondiali.

Ma è anche la storia di una transizione democratica che ha visto la sostituzione delle immutabili burocrazie del partito unico con oligarchie finanziario affaristiche, e l'assegnazione delle vecchie miniere con concessioni dove spesso ben poco si chiede ai concessionari, e quel poco che viene chiesto può anche essere rimandato, tanto bastano le conoscenze giuste.

Sono le cose che raccontano quei minatori. E parlano del loro movimento, che già 5 anni fa li aveva visti prima in piazza, e poi iniziare uno sciopero della fame fino a che non erano stati ascoltati. E parlano della loro intenzione di scendere di nuovo in fondo alla loro miniera per un altro sciopero della fame, sperando non solo di essere ascoltati, ma che le promesse vengano anche mantenute. E parlano della fiducia che hanno nella solidarietà, nella nostra solidarietà.

E penso che la loro miniera prima è stata comprata da una società italiana per essere poi venduta ad una società austriaca, senza che con i capitali arrivassero anche i diritti. E penso a quante delle cose cromate che abbiamo attorno nascono dal lavoro di quei minatori.

E mi ricordo del vecchio slogan sindacale "An injury to one is an injury to all (Una ferita a uno è una ferita a tutti)"

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