26.3.11

Definizioni

Scampoli di conversazione mattutina: "anche noi avremo da accogliere un gruppo di profughi della Libia...", "ma sarà meglio metterli tutti assieme o spargerli in diverse strutture...", "Quanti saranno?" "al mercato c'era chi ne parlava preoccupato...".

Il problema è che nel nostro linguaggio tutto si confonde, facendoci sfuggire la rilevanza delle differenze, e che differenze. Quelle differenze che ci dicono che un profugo non è un migrante, e che un migrante non è un esule politico.
Quelle differenze che nel nostro tempo e nel nostro paese vengono frettolosamente nascoste dalla definizione di "clandestino", che troppo spesso viene allegramente appioppata a chi, di carnagione scura od olivastra, non è arrivato da noi passando dal check in di un aereoporto.

Per chiarezza: "profugo" è uno che per qualche motivo, naturale o conseguente ad atti umani, lascia la sua residenza. Sono gli sfollati della terra, persone che non attendono altro che le condizioni consentano il rientro a casa.

Erano profughi il milione di Eritrei che nel maggio del 2000 abbandonarono le zone vicine alla frontiera con l'Etiopia per rifugiarsi lontano dal fronte del conflitto fra Eritrea e Etiopia.

Nel settembre del 2000, poco dopo il cessate il fuoco già i primi campi si svuotarono: c'era il raccolto da fare e chi potè lasciò la tenda e se ne tornò a casa.

Nel maggio del 2001 si svuotarono anche quasi tutti gli altri campi, con decine di migliaia di persone che rientrarono nei loro villaggi, giusto in tempo per pensare alla nuova stagione della semina, nella speranza che gli aratri non si trovassero ad urtare una delle tante mine lasciate dal conflitto. Quasi tutti tornarono a casa, salvo qualche decina di migliaia di persone ancora oggi trattenuti dal fatto che le loro terre sono rimaste in una zona occupata dall'altro esercito, pegno di un processo di pace mai concluso.

Questi i profughi, e saranno probabilmente così anche molti di quelli che capiteranno da noi dalla Libia, sempre in attesa che le condizioni consentano loro di rientrare.

Poi ci sono i migranti: coloro che migrano per costruirsi un futuro migliore. Migranti regolari quando la legge lo consente, irregolari quando le norme sono troppo ristrette.
Ricercati e respinti sono però altra cosa dai profughi: vorrebbero tornare vincitori nel loro paese, ma spesso si accontentano di poter ostentare nel loro villaggio un benessere di oro placcato le poche volte che i loro risparmi gli consentono di pagarsi il biglietto. Un benessere pagato con turni massacranti nei lavori più umili, e vedendo i propri figli crescere parlando un'altra lingua, con altri miti e studiando un'altra storia.

Ed infine i rifugiati politici. Coloro che vorrebbero rientrare nel loro paese ma non possono, perché il paese che sognano è diverso da quello reale, e quello reale ritiene che l'unico posto per i sognatori sia la galera o la forca.

Nel tempo gli stati si sono dati regole e comportamenti per affrontare i problemi e le necessità poste da profughi, migranti e rifugiati politici. Alcune di queste norme funzionano bene, altre meno, quello che è certo è che di tutti i comportamenti possibili quello meno efficace e più ingiusto è quella che considera queste condizioni come pericolosa clandestinità.

E' quello che dovremmo ricordare ogni volta che sentiamo qualcuno preoccuparsi per gli sfollati che arriveranno.







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