22.3.11

Dei due pesi e delle due misure

Quella del doppio standard è una classica accusa rivolta alle grandi potenze ogni volta che scoppia una guerra o si assiste ad interventi armati in questa o quell'altra parte del mondo.

In sostanza si dice: perché intervenire in quel paese giustificando l'iniziativa con la necessità di difendere i diritti umani e non farlo da qualche altra parte dove gli stessi diritti sono messi in discussione? Ovviamente il corollario è che dall'altra parte non si interviene perché il bullo di turno è sulla lista degli amici .

Un esempio recente è quello che mette a confronto il bombardamento della Libia a difesa degli insorti di Bengasi con il silenzio sull'intervento pesante dell'Arabia Saudita in Bahrain, in difesa dei regnanti e contro i dimostranti che chiedevano più democrazia.

L'accusa ha una solida base e giustamente sottolinea come nella politica a prevalere non sono i diritti, spesso rappresentati come ideale cui tutti i popoli tenderebbero se non fossero bloccati dal despota di turno, ma i ben più corposi interessi materiali. E questo non vale solo nella scelta delle priorità dettate dai potenti di turno, ma anche nell'approccio che le persone comuni hanno ai temi internazionali, dove appunto la crisi libica ha una sua rilevanza per i riflessi che percepiamo avrà sulla nostra economia, mentre le altre crisi del continente africano sono sentite come problema lontano, da delegare a missionari e ong.


Verrebbe poi da aggiungere l'amara considerazione che i diritti pesano più o meno in relazione alla potenza degli eserciti coinvolti e della posizione del bullo e dei suoi amici nella assemblea delle Nazioni Unite.

Ma temo che questa discussione non porti troppo lontano nella soluzione dei problemi: può aiutare a sentirsi dalla parte giusta, dalla parte cioè di quelli che difendono sempre il debole dall'oppressore, posizione moralmente alta e anche gratificante, sopratutto se ci sono stelle e le strisce che ci aiutano a ricordarci antiche battaglie, ma rimane irrisolta la questione di fondo: cosa fare quando ci si trova a poche ore dalla battaglia finale?

E' oggettivamente impossibile scegliere fra il massacro buono e quello cattivo, fra il bombardamento efferato e quello "umanitario". Fra il rimorso per aver sbagliato a non fare e quello di aver fatto ed aver sbagliato, e tuttavia occorre farlo, perché la neutralità non è sempre una virtù, sopratutto quando è indifferenza.

E non aiutano le accuse di doppi standard, perché non si tratta oggi di valutare la moralità astratta dell'intervento, ma stabilire se sia necessario o no, se siano praticabili oggi altre strade oppure no. E per questa analisi non serve dire che si sarebbe potuto fare l'altro ieri, perché ciò che non è stato fatto o che è stato fatto male rientrerà nella valutazione che dovremo dare domani dei nostri leader, ma oggi e adesso e in quel contesto specifico la domanda è cosa fare.

Non servono le accuse dei doppi standard perché il tema di oggi non è decidere se Usa, Russia, Francia o Cina siano buone o cattive, ma come fare in modo che in questa o quella crisi si blocchi l'escalation verso il peggio, sapendo che i corposi interessi in campo avranno un loro peso.

Insomma la nostra abilità non è data dalla capacità di svelare quello che tutti sanno, ovvero che il principale motore della politica internazionale è l'interesse, ma capire come fare a rallentare quel motore quando alimenta la repressione, e favorirlo quando la blocca.

A Bengasi, come a Manama come a Sanaa

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